Ndranghetista minaccia giudice durante il processo: “E’ un morto che cammina”

"Volevo solo far sapere che Cristina Beretti è un morto che cammina”. Sono le agghiacciati e gravissime parole pronunciate da Francesco Amato, ‘ndranghetista originario di Rosarno, pronunciate nei confronti della presidente del Tribunale di Reggio Emilia che ieri ha letto la sentenza di condanna a sei anni e quattro mesi di carcere per il sequestro – lo scorso 5 novembre – di cinque dipendenti di un ufficio postale alle porte di Reggio Emilia. Amato ha strappato il microfono a un tecnico e, rivolgendosi alla giudice in videoconferenza dal carcere di Terni, ha pronunciato le pesantissime minacce.
Amato è detenuto nella città umbra e sta scontando una pena di 19 anni per associazione mafiosa dopo la sentenza “Aemilia”, il processo contro i clan della ndrangheta al Nord. Dal penitenziario ha parlato in videoconferenza pronunciando parole inquietanti, interrompendo sovente la giudice Silvia Guareschi che alla fine è stata costretta a spegnergli il microfono. Lui tuttavia non ha desistito, ha rubato quello di un tecnico e ha continuato con le sue invettive. In merito al sequestro del 5 novembre Amato ha detto: “A convincermi a liberare gli ostaggi è stata il giudice Cristina Beretti, ma poi non ha voluto mantenere la promessa. Volevo farle sapere che era a rischio, che è un morto che cammina”. Poi ha aggiunto: “Il sequestro l’ho fatto per il terrorismo che c’è a Reggio, non per difendere me stesso. Non volevo fare male a qualcuno. Volevo parlare con Matteo Salvini, ma anche lui si è rivelato un traditore”.
Alla fine dell'udienza è stata dichiarata chiusa l’istruttoria. Il pubblico ministero Iacopo Berardi aveva chiesto dieci anni per i reati di sequestro di persona aggravato e porto d'arma abusivo (utilizzò un coltello per tenere in scacco i dipendenti). Ma il giudice lo ha condannato a 6 anni e 4 mesi riconoscendogli le attenuanti generiche. Sulle minacce è intervenuta Libera: “Esprimiamo la nostra piena solidarietà alla dottoressa Cristina Beretti, le cui doti umane e la cui grande professionalità abbiamo avuto modo di apprezzare e di vedere confermate nel corso delle 195 udienze del primo grado del rito ordinario del processo “Aemilia””.