‘Ndrangheta, il pentito Bonaventura: “Ho paura per la mia famiglia, non lasciatemi solo”
“Nella ‘Ndrangheta sono cresciuto da bambino-soldato. Quando, ormai adulto decisi di dissociarmi, nel 2005, non sapevo nemmeno come si potesse fare. Mi rivolsi all'ex procuratore capo di Crotone dell'epoca, per capire come collaborare con la giustizia”.
A parlare è Luigi Bonaventura, uno dei pochi pentiti di ‘Ndrangheta in Italia, ex reggente della cosca Vrenna-Bonaventura, ritenuto “altamente attendibile” da dieci Procure d'Italia, con le quali collabora o ha collaborato. E non ha nemmeno la scorta, tranne che negli spostamenti per impegni giudiziari. “Il magistrato mi diede dei consigli ottimi, riflettei e poi feci il passo ufficiale nel 2007”, racconta. Oggi, a sette anni dalla sua dissociazione, “sono sempre stato coerente”. Nonostante le diverse minacce: “L'ultima volta mi hanno fatto trovare l'immaginetta e un bossolo di pistola, il messaggio era piuttosto chiaro”, confessa amaramente Bonaventura, che denuncia da tempo quelle che definisce vere e proprie falle nel programma di protezione dei collaboratori e dei testimoni di giustizia.
“La colpa – si sfoga – è di quella parte di politica che non vuole dare la disponibilità e gli strumenti giusti per far funzionare il programma di protezione”. Poi spiega meglio: “Dare strumenti concreti per l'inserimento socio-lavorativo, accelerare i tempi per gli accordi bilaterali con altri Stati, per ampliare il raggio d'azione in Europa: così sarebbe più facile proteggere collaboratori e testimoni di giustizia”. Per Bonaventura, “bisognerebbe poi coinvolgere uomini di qualità, non solo militari ma educatori e psicologi, perché uno come me, cresciuto in una famiglia mafiosa, ha bisogno di un programma di riabilitazione”. Ma l'elemento che preoccupa di più l'ex mafioso è che “mi trovo in una località protetta ma in realtà esposto a finti pentiti, ‘ndranghetisti, in pericolo a causa di intimidazioni e attentati. Io non parlo solo per me, ma anche per la mia famiglia: ho due figli e una moglie, ho paura per loro”. Bonaventura si appella non solo alla politica, in particolare al ministro Alfano, ma anche alla società civile e al mondo dell'associazionismo: “Non lasciatemi solo – chiede – Lea Garofalo ha cercato più volte aiuto e si poteva salvare, ma non venne ascoltata E io dico: si può fare l'antimafia anche il giorno prima, e non ringraziare le persone quando ormai sono morte”.