video suggerito
video suggerito

‘Ndrangheta, il pentito Bonaventura: “Ho paura per la mia famiglia, non lasciatemi solo”

Parla Luigi Bonaventura, uno dei pochi pentiti di ‘Ndrangheta in Italia: non ha la scorta e si sente in pericolo, ma nessuno lo ascolta. A Fanpage dice: “Facciamo l’antimafia del giorno prima, non aspettiamo le celebrazioni post mortem”.
A cura di Gaia Bozza
291 CONDIVISIONI
Immagine

“Nella ‘Ndrangheta sono cresciuto da bambino-soldato. Quando, ormai adulto decisi di dissociarmi, nel 2005, non sapevo nemmeno come si potesse fare. Mi rivolsi all'ex procuratore capo di Crotone dell'epoca, per capire come collaborare con la giustizia”.

A parlare è Luigi Bonaventura, uno dei pochi pentiti di ‘Ndrangheta in Italia, ex reggente della cosca Vrenna-Bonaventura, ritenuto “altamente attendibile” da dieci Procure d'Italia, con le quali collabora o ha collaborato. E non ha nemmeno la scorta, tranne che negli spostamenti per impegni giudiziari. “Il magistrato mi diede dei consigli ottimi, riflettei e poi feci il passo ufficiale nel 2007”, racconta. Oggi, a sette anni dalla sua dissociazione, “sono sempre stato coerente”. Nonostante le diverse minacce: “L'ultima volta mi hanno fatto trovare l'immaginetta e un bossolo di pistola, il messaggio era piuttosto chiaro”, confessa amaramente Bonaventura, che denuncia da tempo quelle che definisce vere e proprie falle nel programma di protezione dei collaboratori e dei testimoni di giustizia.

“La colpa – si sfoga – è di quella parte di politica che non vuole dare la disponibilità e gli strumenti giusti per far funzionare il programma di protezione”. Poi spiega meglio: “Dare strumenti concreti per l'inserimento socio-lavorativo, accelerare i tempi per gli accordi bilaterali con altri Stati, per ampliare il raggio d'azione in Europa: così sarebbe più facile proteggere collaboratori e testimoni di giustizia”. Per Bonaventura, “bisognerebbe poi coinvolgere uomini di qualità, non solo militari ma educatori e psicologi, perché uno come me, cresciuto in una famiglia mafiosa, ha bisogno di un programma di riabilitazione”. Ma l'elemento che preoccupa di più l'ex mafioso è che “mi trovo in una località protetta ma in realtà esposto a finti pentiti, ‘ndranghetisti, in pericolo a causa di intimidazioni e attentati. Io non parlo solo per me, ma anche per la mia famiglia: ho due figli e una moglie, ho paura per loro”. Bonaventura si appella non solo alla politica, in particolare al ministro Alfano, ma anche alla società civile e al mondo dell'associazionismo: “Non lasciatemi solo – chiede – Lea Garofalo ha cercato più volte aiuto e si poteva salvare, ma non venne ascoltata E io dico: si può fare l'antimafia anche il giorno prima, e non ringraziare le persone quando ormai sono morte”.

Video thumbnail
291 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views