Naufragio di migranti in Grecia, il racconto dei sopravvissuti: “Nella stiva c’erano cento bambini”
Con il passare delle ore, stanno diminuendo le speranze di trovare persone migranti superstiti. Il naufragio avvenuto ieri al largo di Pylos, nel sud del Peloponneso, in Grecia, ha fatto registrare finora 79 vittime e 109 sopravvissuti. I dispersi continuano a essere almeno quattrocento – secondo alcune ricostruzioni – ma potenzialmente fino a più di cinquecento, dato che il governo locale del Peloponneso ha stimato che a bordo ci fossero circa 750 persone: lo stesso numero dato dalla Ong Alarm Phone, che nei giorni scorsi aveva già lanciato l'allarme. Se confermati, sarebbero i numeri di una delle peggiori stragi nella storia delle migrazioni nel Mediterraneo.
Intanto, la stampa greca ha riportato che ci sarebbero stati circa cento bambini nella stiva della nave, insieme a molte donne. Si erano rifugiati sotto coperta per proteggersi dalle cattive condizioni meteo. A riportarlo sarebbe stato un medico che ha parlato con una delle persone sopravvissute, anche se le autorità non hanno confermato questo numero. Per loro, a più di 12 ore dal naufragio, ci sarebbero poche speranze.
L'attacco alla Guardia costiera greca: "Erano informati da martedì"
"Ieri avevamo allertato la Guardia costiera ellenica alle 16:53 per questa imbarcazione in difficoltà, poiché le persone ci avevano chiamato per chiedere aiuto. Le autorità greche, e a quanto pare anche quelle italiane e maltesi, erano già state allertate diverse ore prima. Le autorità greche e le altre europee erano ben consapevoli di questa imbarcazione sovraffollata e inadeguata. Non è stata avviata un'operazione di salvataggio”, ha denunciato Alarm phone. "La Guardia Costiera greca ha iniziato a giustificare il mancato soccorso sostenendo che le persone in difficoltà non volevano essere soccorse in Grecia".
Il governo greco ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale, in seguito al naufragio. Le persone sopravvissute sono state portate a Kalamata, dove quattro sono in ipotermia. Trenta in tutto si trovano nell'ospedale locale. Davanti al porto di Kalamata sono state installate delle tende, gestite dalle Nazioni unite, la Croce rossa e l'Organizzazione internazionale per le migrazioni.
L'attivista che ha parlato con i migranti a bordo della nave: "Volevano essere salvati da qualunque Paese"
Un attivista greco della Ong Mediterranea Saving Humans, Iasonas Apostolopoulos, ha ribadito le accuse alla Guardia costiera: "Sapeva della barca da ieri (martedì, ndr) a mezzogiorno. sono stati allertati sia dalle autorità italiane, che da Frontex, che da Alarm Phone. Hanno avuto 24 ore per lanciare un'operazione di soccorso e non hanno fatto nulla. La scusa? I rifugiati non volevano essere salvati!", ha scritto sui social. "La Guardia costiera greca ha localizzato 750 persone in un guscio di noce, senza giubbotti salvagente, in mezzo al nulla, e le ha lasciate al loro destino. Gli volevano far fare altri 500 chilometri, fino all'Italia, in queste condizioni?".
Il viaggio era in effetti diretto alle coste italiane. La barca era partita da Tobruk, in Libia. Apostolopoulos ha insistito: "La gente ha paura della Guardia costiera greca. Hanno tutte le ragioni per non fidarsi, perché hanno vissuto di tutto nelle sue mani. Ma questo non solleva la Guardia costiera dalla responsabilità di salvarla. Da due anni, i profughi per evitare i ripetitori greci prendono strade sempre più pericolose, cercando di raggiungere direttamente l'Italia, perché se la Guardia costiera greca li localizza, li picchia, li deruba, li tortura e il abbandona nelle acque turche".
Un'altra attivista, Nawal Soufi,che è stata la prima a contattare le persone a bordo della barca secondo quanto comunicato da Alarm Phone, si è affidata ai social: " Dopo cinque giorni di viaggio, l'acqua era finita, il conducente dell'imbarcazione li aveva abbandonati in mare aperto e c’erano anche sei cadaveri a bordo. I migranti non sapevano esattamente dove si trovassero, non avrebbero saputo navigare per arrivare in acque italiane. Avevano assolutamente bisogno di aiuto nelle acque dove si trovavano e se mi avessero espresso la volontà di voler continuare il viaggio verso l’Italia avrei ovviamente mandato un aggiornamento a Malta, Grecia e Italia, ma i migranti non hanno mai detto nulla di simile".
Il "rifiuto dei soccorsi", invece, sarebbe stato semplicemente un allontanamento da una nave che stava fornendo bottigliette d'acqua, perché i migranti avevano paura che la barca venisse destabilizzata e affondasse. "Posso testimoniare che queste persone hanno sempre chiesto di essere salvati da qualsiasi Paese", ha concluso Soufi.