Si può fare una battaglia simbolica a Natale contro i giochi sessisti. E' molto semplice: basta evitare con cura quelli che confinano le bambine in un ruolo e in un colore. Da scartare cucine, ferri da stiro, pentolini, e poi principesse, principesse in carrozza, bamboline madri. Sarà difficile perché sia cataloghi, supermercati e negozi di giocattoli sono attrezzati in una suddivisione infausta: le bambine sono sempre e solo rosa. Il consumatore se deve acquistare un gioco si orienta così. Anzi domanda spesso: per una bambina cosa posso comprare?”. E' già sancita la differenza in questa suddivisione, un orizzonte di immaginario futuro stabilito dal marketing. E dal supermercato. Tutto separa i due universi.Sembra apparentemente innocuo, ma stabilire così presto dei ruoli può avere delle conseguenze a lungo termine sulla percezione che si ha di se stesse e delle proprie aspirazioni professionali. Inchiodare una donna a un ruolo significherà poi far passare sotto silenzio violenze coniugali, escludere il maschio dalla responsabilità di crescere i figli assieme alla madre, oltre che dare per scontato l'eterno divario di salario uomo – donna.
La scoperta fatta di recente da una sociologa francese, Mona Zegai, della Sorbonne Nouvelle specializzata in studi di genere, è che negli anni '50 i giocattoli non erano classificati bambini / bambine, ma per semplice categorie (macchine, bambole, peluches ), in sostanza non tenevano conto delle categorie sessuali. Sono gli anni '90 che propongono una suddivisione azzurro/rosa. E oggi la maggior parte di cataloghi propone (o impone) una distinzione sessuale maschio femmina sulla quale poi fa leva il marketing. Perciò si aggiungono colori, packaging, loghi, font, anche gli slogan. E poi allestimenti di vetrine con abitini, esposizioni organizzate. Tutto il mondo femminile è confinato in una immensa nuvola rosa. E in un ristretto universo di ruoli da immaginare e di orizzonti da percepire sin dall'infanzia.
I maschi che pubblicizzano il giocattolo sono in genere in posizione di riuscita e successo, pugni da cattivo, poteri da affermare, gambe divaricate, portano armi per combattere. Competizione e riuscita sono i messaggi veicolati. Le femmine sono sempre confinate in interni a un lavoro domestico. Sempre sorridenti, viso dolce, postura e costumi da principesse, incarnano sicurezza, e anche passività. Si potrebbe dire che i giochi ricalcano la richiesta dei consumatori e le attitudini reali. E' vero e falso al tempo stesso: è vero perché se non si fa che perpetuare la stessa realtà sociale che ha subìto questo tipo di “ ingiunzione” dal mercato è evidente che anche parte del consumo continua ad essere lo stesso, ma è anche falso perché cucina e giardinaggio, ad esempio, sono praticate sia da donne che da uomini. Le donne oggi fanno le astronaute, le dottoresse, le avvocate le magistrate, le scienziate, partono in guerra, costruiscono e pensano case e palazzi esattamente come gli uomini. Quindi ripetere sempre gli stessi ruoli per le bambine significa solo continuare a veicolare dei vecchi cliché. Che a volte sono le stesse bambine a voler smontare. Un boom di click lo fece tempo fa la piccola Riley che davanti a una corsia di un negozio di giocattoli ha chiesto a suo padre: perché le bambine devono sempre comprare delle principesse e i bambini dei super eroi?Anche le bambine vogliono super eroi!”
Un buon indicatore del terremoto che stanno subendo i fabbricanti di giocattoli è proprio la Barbie, il must per bambine di tutto il pianeta. A 55 anni dal 2011 è in declino e per la prima volta non è più la capolista dei giocattoli da bambina. Ce n'è un'altra, in vendita in America dal novembre 2014, che sta soppiantando e forse detronizzando per sempre le bambole dalle misure irreali. Si chiama Lammily, più piccola della bionda Barbie, e dalle forme realistiche, con tanto di acne e cellulite. E' stata creata dall'artista Nicolay Lamm appunto pensando alle proporzioni medie di una giovane americana di 19 anni: 1,63 per 68 chili. Anche se Barbie nella sua vita ha fatto più di 150 mestieri compreso “presidente” e “astronauta”, quella generalmente proposta nei reparti di giocattoli è la madre di famiglia. Eppure di sforzi e progressi sono stati fatti: nel 1992 la casa produttrice si è scusata per aver fatto dichiarare alla Barbie di essere “scarsa in matematica” e che preferiva invece fare shopping. In un recente libro illustrato la bambola più odiata dalle femministe si iscriveva a un corso di informatica, ma non riusciva a portarlo a termine e scoraggiata invocava l'aiuto di Steven e Brian, come se il settore fosse di solo appannaggio maschile, altro stereotipo particolarmente diffuso.
Un'esplosione di twitter ha corretto il racconto: con l'ashtag #feministhackerbarbie: la storia di una Barbie hacker che dà consigli agli uomini di come fa funzionare la rete. Forse non solo i consumatori ma anche i commercianti e i produttori devono cominciare a capire che la realtà è cambiata.