L‘immagine di quest'articolo è un fotogramma de Il Padrino parte II di Francis Ford Coppola. È il momento in cui i capi delle famiglie della mafia italo-americana decidono di spartirsi Cuba, il ‘bordello e il casinò degli americani' dell'epoca del dittatore Fulgencio Batista. Quello era un film, ma la verità non era molto dissimile.
«La historia me absolverà», la storia mi assolverà, scriveva Fidel Castro subito dopo l'assalto armato alla caserma della Moncada per giustificare le sue azioni di guerriglia. Non è per quelle azioni e non è da oggi, giorno della sua dipartita che el comandante en jefe è chiamato a rispondere dinanzi al tribunale della Storia o dinanzi ad un tribunale più alto, per chi ci crede. Castro è chiamato a rispondere delle violazioni dei diritti civili, in particolare quelli dei dissidenti, di un modello di governo non liberale che tuttavia nemmeno gli esperti sanno definire (Repubblica popolare? Regime rivoluzionario? Democrazia apartitica? Dittatura nuda e cruda?). Fu giusto? Fu sbagliato? Fu inevitabile o scongiurabile? Quante vicende, tante domande, direbbe il lettore-operaio di Bertolt Brecht. Ma le risposte a questi interrogativi le daranno altri, ora che la Storia si sedimenterà sulla figura del barbudos.
Chi è stato a Cuba per lavoro o per vacanza in questi anni al netto delle differenze (negli anni Settanta era una cosa, negli Ottanta un'altra e oggi è ancora diverso da quei periodi) sostanzialmente definisce l'Isola come un posto povero, in cui tutti hanno un pochino e necessiterebbero di molto di più, in cui è vero che gli ospedali e l'istruzione sono gratuiti ma è anche vero che gli stranieri vengono presi ‘d'assalto' da chi ha bisogno di tutto, da quaderni e matite a pasticche d'aspirina o fermenti lattici (parlo le cose che ho potuto constatare di persona).
Chi è stato a Cuba ora non può che pensare ad una cosa: quale sarà il destino dell'isola caraibica dopo Fidel? Chiaro che cade un simbolo enorme, un pilastro, non certo un elemento operativo del governo. L'embargo statunitense è quasi caduto del tutto e i primi segni degli investimenti si vedono nei progetti di riqualificazione dell'Avana vecchia, che sembra un paese bombardato.
Ho visto di persona i cubani affamati non solo di cibo ma anche di smartphone e connessione internet a fare la fila ai negozietti di telefonia e connettività Gsm. Arriveranno opere edili, alberghi nuovi, arriveranno prodotti d'esportazione. Arriveranno i social network per tutti, arriverà il turismo coi soldi, quello vero, quello che ormeggia yacht milionari al largo delle acque cristalline e cerca i resort con tutto incluso da centinaia di dollari al giorno.
Tutt'intorno Cuba, da Haiti al Messico, è un fiorire di cartelli della droga, di gioco d'azzardo, del business del divertimento a caro prezzo che non ha finora toccato l'Isola della rivoluzione. Con l'addio di Fidel cadrà l'argine a tutto questo? È scorretto chiedersi cosa sia giusto e cosa non lo sia: non siamo giudici né guide morali. Ma possiamo esprimere una legittima preoccupazione per quella che potrebbe non essere una ‘lenta transizione' ma una overdose d'Occidente, della parte peggiore, tossica dell'Occidente?