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Naima uccisa mentre usa il cellulare, il marito confessa: cosa ci dice il comportamento dell’uomo

Massimo Cannone ha confessato di aver ucciso la moglie Naima Zahir lo scorso sabato. Perché si parla di raptus e quanto è fondamentale in casi simili l’analisi della scena del crimine e delle tracce che in esse sono insite.
A cura di Anna Vagli
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Massimo Cannone ha confessato di aver ucciso la moglie Naima lo scorso sabato 12 marzo. Lo ha fatto in presenza del suo avvocato dopo che ieri era stato eseguito nei suoi confronti un provvedimento di fermo. L’uomo ha raccontato di aver sferrato due coltellate alla donna mentre si trovava a letto con le cuffie alle orecchie e navigava sul cellulare.

A Fanpage.it vi spiego perché potrebbe essersi trattato di un raptus e di quanto sia fondamentale in casi simili l’analisi della scena del crimine e delle tracce che in esse sono insite.

Il racconto del marito di Naima Zahir

Il comportamento di Massimo Cannone, marito di Naima Zahir, è apparso fin da subito sospetto. Un uomo che prima di appurare con certezza il decesso della moglie, si è preoccupato – dopo aver estratto il coltello – di pulire il pavimento dall’imbrattamento ematico. Senza, però, allertare né l’ambulanza né le forze dell’ordine. A cui ha provveduto il fratello. Mentre lui, in un'ottica autoconservativa e con il chiaro intento di normalizzare quanto commesso, sarebbe andato a bere una birra.

A ciò si aggiunga il racconto messo a verbale nell’immediatezza da Massimo Cannone che, nel tentare di suffragare il suicidio della moglie, ha mostrato una freddezza non indifferente. Ancor meglio: ha descritto gli eventi con una specie di neutralità, senza alcun tentennamento emotivo. E l’eccessiva rigidità di un testimone che dovrebbe essere sentimentalmente coinvolto in quel che descrive è sempre un fattore da annotare. Simili indicatori – paragonabili al pallore, al sudore, al toccarsi le mani – devono destare quantomeno attenzione, se non sospetto, in circostanze simili. Difatti, è realistico credere che Cannone sia entrato fin da subito nel vortice del sospetto, anche per la scelta di un linguaggio puntuale e distaccato. Stessi sentimenti, peraltro, che hanno mosso il fallimentare tentativo di ripulitura. Contribuendo, a loro volta, alla scelta della magistratura di disporre per l’uomo la misura della custodia cautelare in carcere.

Le tracce di sangue in casa di Naima

La Bloodstain Pattern Analysis è una tecnica di Crime Scene Reconstruction che si fonda sull’analisi approfondita delle macchie di sangue presenti sulla scena del crimine. Tale tecnica, che abbiamo imparato a conoscere in Italia per il suo utilizzo nel delitto di Cogne, può essere utilizzata per individuare, tra le altre cose, il punto di origine del sanguinamento (e cioè il punto esatto in cui è stata aggredita la vittima), il tipo di arma utilizzata (in questo caso nota), il numero di colpi inferti e anche le posizioni, i movimenti e le attività compiute dai soggetti coinvolti in un’attività criminosa. In termini semplicistici, come e dove, in un dato spazio, si è verificata un’aggressione.

Anche se ci sono stati tentativi di cancellare la mattanza e si ha a che fare con tracce ematiche latenti. Proprio come per l’omicidio di Naima.

Tornando ai rilievi, nel pomeriggio di ieri, per le ragioni accennate, la polizia scientifica si è recata nell’abitazione della coppia, teatro della tragedia, alla ricerca di sangue latente. Utilizzando, a tale scopo, il luminol. Prodotto chimico impiegato per evidenziare il sangue dilavato e diluito anche se in quantità esigue.

Il luogo del reato rivela sempre importanti informazioni ed è verosimile pensare che, impiegando il luminol solo trenta secondi a reagire, proprio sulla base dei dati riscontrati con la Bloodstain Pattern analysis, gli inquirenti abbiano dato una spinta decisiva alle indagini.

Raptus o premeditazione?

Nonostante abbia cercato di occultare le tracce, quella lasciata dall’uomo è a mio avviso catalogabile come scena del crimine disorganizzata. Una scena, cioè, che si presenta confusionaria, con il corpo della vittima in bella mostra, spesso brutalizzato. E non soltanto. Un simile scenario è infatti sempre contraddistinto dalla totale mancanza di pianificazione, denotando, al contrario, improvvisazione sia nella fase esecutiva del delitto sia in quella successiva. Così argomentando, in letteratura viene qualificato come assassino disorganizzato colui che commette un crimine violento in luoghi familiari. Luoghi che, nella quasi totalità dei casi, è solito condividere con la vittima alla quale è legato da relazione di tipo affettivo.

Proprio come nel caso dell’omicidio di Naima. In questo senso, la criminodinamica ha contribuito a incanalare le indagini sin da subito verso la pista omicidiaria. Oggi confermata con la confessione.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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