Morto in cella, l’ombra del pestaggio per Emanuel Scalabrin: “Gridava ‘aiuto, basta’”
"Diceva ‘Aiuto! Aiuto! Basta! Basta'". Davanti a me c'erano due carabinieri, li ho guardati, ma non ho ricevuto alcun cenno di risposta". È la drammatica testimonianza che emerge nella vicenda della morte di Emanuel Scalabrin, il ragazzo di 33 anni trovat0 senza vita in cella di sicurezza nella caserma di Albenga (Savona) a poche ore dall'arresto. Mentre si attendono i risultati dell'autopsia sul corpo del bracciante agricolo, fa discutere – soprattutto alla luce dell'indagine per omicidio colposo – la testimonianza di P. P., arrestato il 4 dicembre scorso nella stessa operazione antidroga che ha portato all'arresto di Emanuel Scalabrin.
Morte di Emanuel Scalabrin: "Implorava aiuto"
"A metà pomeriggio – racconta – sono stato prelevato dalla mia cella e portato in una sala d'attesa. Mi ero convinto che mi volessero rilasciare. A un certo punto ho sentito delle urla provenire dalla cella di Scalabrin. Diceva: "Aiuto! Aiuto! Basta!". Non è tutto. P. P. riferisce di essere stato egli stesso vittima di aggressione: "Mi hanno preso a calci e a pugni sul costato. Un militare, che ricordo bene, mi ha colpito con un bastone avvolto in un giornale rosa. Ho perso un dente". I fatti risalgono a un mese fa. Emanuel, agricoltore con problemi di dipendenza, una compagna e un figlio di nove anni, viene raggiunto nella sua abitazione nel Savonese, arrestato e portato dai carabinieri nella caserma di Albenga, da dove dovrebbe essere trasferito al carcere di Imperia.
Sparito l'hard disk della videosorveglianza
Da mezzogiorno, orario dell'arresto, Emanuel viene trattenuto in cella fino all'indomani, quando, intorno alle 11, viene trovato privo di vita nella cella di sicurezza. Fra l'ora della morte stimata dal medico legale, intorno alle otto del mattino, e il ritrovamento del corpo, alle 11, c'è un black out di tre ore. Un tempo in cui il 33enne avrebbe dovuto essere monitorato con una telecamera, ma il sistema, come rilevano i tecnici, era privo di hard disk. Niente immagini, dunque, ma solo i risultati dell'autopsia e le testimonianze di chi era presente. Tra questi, almeno nella fase dell'arresto, c'è Giulia, compagna di Emanuel. Secondo la donna, che è assistita dal legale Gabriella Branca, della Comunità di San Benedetto del Ponte, i fatti si sono svolti così. Emanuel si trovava nella sua casa di Ceriale con la compagna quando, uscito dalla porta di casa per verificare un guasto elettrico, sarebbe stato spintonato all’interno dell’alloggio da alcuni militari in borghese che erano lì appostati per l’irruzione.
Il racconto della compagna
Secondo la testimonianza di Giulia, Emanuel sarebbe stato gettato sul materasso e colpito in ogni parte del corpo: torace, addome, schiena, viso. Tra urla e richieste di aiuto, avrebbe implorato i carabinieri di fermarsi, perché non riusciva a respirare. Trasferito nella cella di sicurezza della caserma dei carabinieri di Albenga, era stato affidato alla Guardia medica perché non si sentiva bene. Dopo una visita di un’ora, avendo riscontrato pressione alta e tachicardia, la richiesta di trasferimento al Pronto Soccorso di Pietra per accertamenti sulle condizioni cliniche. In ospedale non ci sarebbero stati approfondimenti, la visita sarebbe finita dopo cinque minuti. Da allora nessun medico lo aveva più visitato.