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Morto il partigiano Ferruccio Laffi, uno degli ultimi superstiti della strage nazifascista di Marzabotto

All’epoca sedicenne, scoprì della strage di Marzabotto solo a sera, quando rientrò a casa e trovò i corpi senza vita dei 14 membri della sua famiglia. “”La mia vita è stata martoriata. Sono stato cinquant’anni senza parlare di queste cose”.
A cura di Davide Falcioni
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È morto oggi all'età di 95 anni Ferruccio Laffi, uno degli ultimi superstiti e testimoni dell'eccidio di Monte Sole, sull'Appennino bolognese, noto anche come la "strage di Marzabotto" del 30 settembre 1944: all'epoca sedicenne, scoprì cosa era accaduto solo a sera, quando rientrò a casa e trovò i corpi senza vita dei 14 membri della sua famiglia: i nazifascisti avevano trucidato, tra gli altri, il padre, la madre, i fratelli Armando ed Ettore, la cognata Maria Venturi e i figli di questa Antonio, Dina, Fernando, Gabriele, Italo e Marina, la cognata Livia Ferri e i figli di questa Demetrio, Massimo e Primo Laffi.

Laffi, nato a Castel D’Aiano il 25 maggio 1928, lavorò da giovane come operaio dell’Acma ed entrò nella Resistenza nel marzo 1944, rimanendovi fino alla Liberazione di Bologna del 21 aprile 1945. "La mia vita è stata martoriata. Sono stato cinquant'anni senza parlare di queste cose: prima c'era silenzio, poi hanno scoperto ‘l'armadio della vergogna' ed è venuto tutto alla luce. All'inizio facevo fatica a raccontare, volevo solo dimenticare, ma non si riesce a farlo. È sempre una ferita che fa male", disse in una videointervista all'ANSA per il 75/o anniversario. Poi però iniziò a raccontare: Laffi incontrava spesso gruppi di ragazzi in visita ai luoghi della memoria, raccontando la sua testimonianza, commuovendosi e commuovendo, ed era sempre presente alle celebrazioni, in particolare il 25 aprile.

Cosa fu la Strage di Marzabotto

L’eccidio di Monte Sole (più noto come strage di Marzabotto, dal maggiore dei comuni colpiti) fu un insieme di stragi compiute dalle truppe naziste in Italia tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, nel territorio di Marzabotto e nelle colline di Monte Sole in provincia di Bologna, nel quadro di un’operazione di rastrellamento di vaste proporzioni diretta contro la formazione partigiana Stella Rossa. "La strage di Marzabotto – come spiega l'Anpi Emilia Romagna – è uno dei più gravi crimini di guerra contro la popolazione civile perpetrati dalle forze armate tedesche in Europa occidentale durante la Seconda guerra mondiale. Dopo il Massacro di Sant’Anna di Stazzema commesso il 12 agosto 1944, gli eccidi nazifascisti contro i civili sembravano essersi momentaneamente fermati. Ma il feldmaresciallo Albert Kesselring aveva scoperto che a Marzabotto agiva con successo la brigata Stella Rossa e voleva dare un duro colpo a questa organizzazione e ai civili che la appoggiavano. Già in precedenza Marzabotto aveva subito rappresaglie, ma mai così gravi come quella dell’autunno 1944".

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Responsabile dell’operazione fu nominato il maggiore Walter Reder, comandante del 16° battaglione corazzato ricognitori della 16. SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS, sospettato a suo tempo di essere uno tra gli assassini del cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss. All'alba del 29 settembre, prima di lanciare un attacco dei partigiani, quattro reparti delle truppe naziste, comprendenti sia SS che soldati della Wehrmacht, accerchiarono e rastrellarono una vasta area di territorio compresa tra le valli del Setta e del Reno, utilizzando anche armamenti pesanti. "Quindi – ricorda lo scrittore bolognese Federico Zardi – dalle frazioni di Panico, di Vado, di Quercia, di Grizzana, di Pioppe di Salvaro e della periferia del capoluogo le truppe si mossero all’assalto delle abitazioni, delle cascine, delle scuole", facendo terra bruciata di tutto e di tutti.

Nella frazione di Casaglia di Monte Sole, uomini, donne e bambini cercarono rifugio nella chiesa di Santa Maria Assunta, raccogliendosi in preghiera. Irruppero i tedeschi, uccidendo con una raffica di mitragliatrice il sacerdote, don Ubaldo Marchioni, e tre anziani. Le altre persone, raccolte nel cimitero, furono mitragliate: 195 vittime, di 28 famiglie diverse tra le quali 50 bambini. Fu l’inizio della mattanza. Ogni località, ogni frazione, ogni casolare fu setacciato dai soldati nazisti e nessuno fu risparmiato. La violenza dell’eccidio fu inusitata: alla fine dell’inverno fu ritrovato sotto la neve il corpo decapitato del parroco Giovanni Fornasini.

Fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, dopo sei giorni di violenze, il bilancio delle vittime civili si rivelò spaventoso: oltre 800 morti. Le voci che immediatamente cominciarono a circolare relative all’eccidio furono negate dalle autorità fasciste della zona e dalla stampa locale,  indicandole come diffamatorie; furono minimizzate anche presso Mussolini che chiedeva conferme; solo dopo la Liberazione lentamente cominciò a delinearsi l’entità del massacro.

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