Morte Roberta Repetto: nessun colpevole. Assolto il medico che le asportò il neo sul tavolo da cucina

È stato assolto con formula piena, perché "il fatto non sussiste", il medico bresciano Paolo Oneda, finito sotto processo per la morte di Roberta Repetto, l'insegnante deceduta dopo l'asportazione di un neo eseguita – secondo l’accusa – su un tavolo da cucina del centro olistico Anidra, nell'entroterra ligure. Una vicenda che ha scosso l'opinione pubblica per la sua drammaticità, ma anche per la singolarità del contesto in cui si è consumata.
La Corte d’Assise d’Appello di Milano ha pronunciato oggi la sentenza definitiva: assoluzione. Un verdetto arrivato dopo un lungo e travagliato iter giudiziario, che ha visto una condanna in primo grado a tre anni e quattro mesi, ridotta poi a un anno e quattro mesi in secondo grado. Ma è stata la Cassazione, ritenendo insufficienti le motivazioni della sentenza, ad annullare il precedente giudizio e a ordinare un nuovo processo, conclusosi oggi con l’assoluzione piena del medico. Oneda era difeso dagli avvocati Alberto Sirani e Giovanni Motta, che avevano sostenuto l’assenza di nesso causale tra il suo intervento e il decesso della donna.
Definitive anche le assoluzioni per gli altri due imputati: il guru Paolo Bendinelli, fondatore del centro Anidra, e la psicologa Paola Dora, figure chiave della comunità che Roberta frequentava regolarmente.
Secondo la ricostruzione accusatoria, Roberta Repetto sarebbe morta in seguito a complicanze di un melanoma non adeguatamente trattato, dopo che il medico le aveva asportato il neo in un ambiente privo di condizioni sanitarie idonee. Una versione che però non ha retto all’ultima verifica processuale: per i giudici, "il fatto non sussiste".

Di fronte a questa conclusione, resta l’amarezza della famiglia. Durissimo il commento della sorella della vittima, Rita Repetto: "La colpa della morte di Roberta è di Roberta. Ribadisco la mia assoluta vergogna di vivere in questo Paese". Parole che racchiudono tutto lo sconcerto e la frustrazione per una sentenza che, se da un lato chiude definitivamente il capitolo giudiziario, dall’altro lascia aperta una ferita ancora profondissima.