Morte di Lele Scieri, le motivazioni dei giudici: “Ucciso perché si ribellò al nonnismo”
Lo scorso 13 luglio la corte d'assise di Pisa ha emesso una sentenza di condanna per il caso della giovane recluta Emanuele Scieri, morto ventiquattro anni fa nella caserma Gamerra di Pisa. Oggi, martedì 10 ottobre, arrivano le motivazioni delle condanne a 26 e 18 anni per gli ex caporali della Folgore, Alessandro Panella e Luigi Zabara.
La vicenda (sulla quale recentemente la madre del giovane aveva rilasciato dichiarazioni a Fanpage.it) risale al 1999, quando il corpo di Scieri fu scoperto nella caserma tre giorni dopo i presunti atti di nonnismo di cui era stato vittima. La sentenza, motivata dalla presidente della corte d'assise, la giudice Beatrice Dani, si basa sull'assunto per cui Emanuele Scieri avrebbe reagito agli abusi subiti da parte dei cosiddetti "nonni", pagando con la sua vita per quelle violenze.
Le oltre cento pagine delle motivazioni della sentenza sottolineano testualmente la "credibilità cristallina" della testimonianza chiave del processo, Alessandro Meucci, un paracadutista che ha dichiarato di aver visto Panella, Zabara e Andrea Antico nella camerata la notte del 13 agosto del 1999. I tre imputati, invece, avevano sempre sostenuto di essere in licenza quel giorno.
Le motivazioni della corte mettono in luce anche alcune dichiarazioni che potrebbero complicare la difesa di Andrea Antico, il terzo indagato processato con rito abbreviato e assolto in primo grado. "L'abbiamo fatta grossa" avrebbe esclamato il sottufficiale, l'unico ancora in servizio nell'esercito. Zabara, rivolgendosi a Panella, avrebbe aggiunto: "Stavolta hai esagerato".
La testimonianza di Meucci è stata ritenuta credibile dalla corte, così come quelle di altri testimoni che hanno confermato la presenza di Panella, Zabara e Antico in caserma la notte del 13 agosto del 1999.
Secondo i giudici, la furia dei "nonni" sarebbe stata scatenata da una reazione di Scieri, giovane recluta appena arrivato a Pisa dopo il centro addestramento reclute (Car) a Firenze, che ha provocato, secondo la corte, un "delirio di onnipotenza".