Morte di Azka Riaz, chiesto l’ergastolo per il padre: “È stato omicidio volontario”

Il procuratore di Macerata Giovanni Giorgio ha chiesto la condanna all'ergastolo per Muhammad Riaz nel corso del processo per la morte della figlia Azka. L’imputato, un muratore pakistano, è accusato dell'omicidio della diciannovenne, di violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia. La richiesta di condannarlo all’ergastolo è arrivata nella giornata di mercoledì durante l'udienza in Corte d'assise a Macerata, che potrebbe pronunciare il verdetto il prossimo 6 novembre. La morte della giovane Azka Riaz risale a quasi due anni fa. La diciannovenne venne travolta da un'auto sulla Ss 485, a Trodica di Morrovalle (Macerata), la sera del 24 febbraio 2018. Secondo l’accusa, Azka quella sera era già a terra quando un’auto la travolse a causa delle percosse ricevute da suo padre. Contro Muhammad Riaz la diciannovenne avrebbe dovuto testimoniare in tribunale pochi giorni dopo: lo aveva denunciato per maltrattamenti.
Riaz nega i maltrattamenti: Azka scese dall'auto e fu travolta
A provare le condotte del genitore ci sono diversi elementi secondo l’accusa, tra cui ad esempio la frattura della mandibola della ragazza, la posizione del corpo sulla strada, e anche le dichiarazioni dell’automobilista che la investì. Elementi che secondo l’accusa sono decisivi per parlare di omicidio volontario. L’imputato, da parte sua, ha raccontato una versione diversa di quella sera di febbraio 2018. Riaz nega i maltrattamenti e nega anche d'aver picchiato la figlia nell'occasione specifica: a suo dire, avrebbe fermato l'auto perché il motore non andava, la ragazza sarebbe scesa dal mezzo e a quel punto sarebbe stata travolta da un'auto che sopraggiungeva.
La testimonianza al processo della mamma di Azka
Nel corso del processo la Procura ha deciso a sorpresa di modificare l'imputazione da omicidio preterintenzionale a volontario in base alle testimonianze raccolte e soprattutto dopo aver ascoltato la madre di Azka, che ha parlato di diverse telefonate avuto col marito e anche con la figlia mentre lei era in Pakistan. La diciannovenne avrebbe detto alla madre di aver subito violenze sessuali da parte dell’uomo e di maltrattamenti anche ai danni della sorella e dei fratelli. In aula la donna ha anche raccontato che il marito accusava sempre i figli “perché si ribellavano alla sua autorità”: “Se fossimo in Pakistan – le avrebbe detto al telefono – li avrei già ammazzati”.