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L'omicidio di Alice Neri

Morte di Alice Neri, perché per risolvere il giallo è importante l’autopsia psicologica

Per capire chi ha ucciso Alice Neri, bisogna ricostruire le sue ultime ore di vita. E per farlo è necessario ricorrere all’autopsia psicologica e che il collega Marco si decida a parlare.
A cura di Anna Vagli
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L’unica persona che potrebbe raccontarci come sono andate le cose la notte in cui è stata uccisa è Alice Neri. Alice, però, oggi non c’è più. E non soltanto non può spiegarci il perché né dirci chi l’ha uccisa. Ma neppure è in grado di difendersi rispetto alle voci che si rincorrono da mesi sul suo conto e sulla sua vita privata.

Se ciò non bastasse, a compromettere il quadro si inserisce un altro dato. Il fuoco, quello appiccato per cancellare le tracce, ha reso proibitive le condizioni per stabilire anche come è stata uccisa. Si dice infatti che, quando viene trovato, il cadavere parli. E spesso è davvero così.

Non è questo il caso. E ciò compromette la risoluzione dell’equazione logica utilizzata dai colleghi americani per scoprire chi si macchia del più terribile dei crimini e, quindi, per chiudere un caso senza i se e senza i ma.

In questa storia gli investigatori sembrano decisamente avere le idee chiare. Anche se, di chiaro, a seconda dell’angolo di visuale, potrebbe esserci ben poco.

In attesa dell’incidente probatorio, fissato per il prossimo 6 marzo, gli indagati restano ancora tre: Nicholas Negrini, il marito della vittima, il collega Marco, con cui si trovava a fare l’aperitivo allo Smart Café, e Mohmaed Gaaloul, a cui Alice ha dato un passaggio la sera in cui è morta ed è il solo che si trova in regime di custodia cautelare.

Negli ultimi giorni, a infittire la trama sarebbero emerse una serie di lettere fatte recapitare ad Alice da un presunto collega. Lettere d’amore che avrebbero preoccupato quest’ultima e spinta addirittura a farne confidenza ad alcune amiche. L’uomo in questione, le cui generalità non sarebbero state rese note, avrebbe inoltre dichiarato di non avere più le conversazioni di WhatsApp con la donna. Cancellate dopo aver appreso la notizia.

Alice Neri
Alice Neri

Questo, però, è il punto della storia nel quale bisogna fermarsi per non incorrere in errore. Posta, senza dubbio, la validità universale della regola “male non fare, paura non avere”, che forse porterà “l’uomo delle lettere” a spiegare il perché della cancellazione delle conversazioni con Alice, non può negarsi come sia pericolosissimo – anche a livello investigativo – perdersi dietro a elementi non dirimenti ai fini dell’indagini.

Elementi che, troppo spesso, finiscono con allontanare dal punto di partenza e dalla ricerca della verità. Una verità che è quasi sempre distante rispetto alle chiacchiere di paese. Senza oltretutto dimenticare che Alice era una mamma di trentadue anni, barbaramente uccisa e che non può difendersi in ordine alle vere o presunte illazioni relative alla sua vita privata.

Perché, qualunque cosa eventualmente non funzionasse più nel suo matrimonio, o qualunque modalità fosse stata scelta per rintracciare la sua felicità, non deve essere certo giudicata in questa indagine. Che, è bene ricordare, è per omicidio. Per il suo omicidio.

Ciò detto, torniamo alle evidenze. Quindi all’equazione utilizzata da chi fa profiling: why + how = who?

Oltre a questa, al momento non risolvibile, e sempre rispettando quanto poco fa affermato, è necessario fare ricorso all’autopsia psicologica. Che, seppur non abbia validazione scientifica, è sicuramente accreditata dal punto di vista investigativo e giudiziario. Perché capace di fornire informazioni dirimenti sotto il profilo vittimologico.

L’autopsia psicologica è una tecnica forense utilizzata per ricomporre il vissuto di una vittima in tutti i casi di morte equivoca e nei quali si deve risolvere il rebus del colpevole.

La ricostruzione biografica di cui si discute, che avviene analizzando le peculiarità personologiche e comportamentali della vittima, è possibile attraverso le testimonianze di parenti, amici e di chiunque sia entrato in contatto con la vittima negli ultimi mesi di vita.

Andando dritti al punto, considerato lo stato delle indagini, sarebbe opportuno effettuare una ricostruzione retrospettiva dello stato mentale e del vissuto psico-sociale di Alice. A maggior ragione quello delle sue ultime ore di vita. Una ricostruzione, si ribadisce, di fondamentale importanza nelle indagini per omicidio.

Alice prima di andare incontro al suo atroce destino è rimasta sette ore in un bar con Marco. Un incontro, che l’aveva spinta a mentire al marito. Al quale, lo ricordiamo, aveva detto di recarsi a fare un aperitivo con un’amica. Perché la donna avrebbe dovuto mentire al padre di sua figlia su quell’appuntamento? Qual era lo stato d’animo di quella giornata?

Sono informazioni queste ultime, peraltro decisive, che solo una persona può fornire per la ricerca della verità: Marco. Un uomo che però, inspiegabilmente, si è trincerato dietro un assordante silenzio. Timore di scoperchiare segreti condivisi solo con Alice? Qualcosa che ha magari a che fare con l’assunzione di stupefacenti? O forse perché, troppo spesso, il pedaggio per andare avanti con la propria vita è l’indifferenza? In fondo, Alice era una persona a lui cara.

Difficile comprendere se l’uomo non si sbottona. Certo, visto come sono andate le cose, sarebbe produttivo – all’avviso di chi scrive – che si decidesse comunque a raccontare quanto in sua conoscenza. Non solo per arrivare alla verità, e dunque rendere giustizia ad Alice, ma per preservare la sua posizione. Dal momento che, almeno fino ad oggi, risulta anche lui ancora iscritto nel registro degli indagati.

Alice Neri
Alice Neri

Quindi, in definitiva, e in attesa dell’incidente probatorio, quale sarebbe la chiave di volta per orientare le indagini?

Data l’attuale impossibilità di risolvere l’equazione “perché+come=chi”, dunque, il ricorso all’autopsia psicologica dovrebbe essere il punto di partenza. Senza i se e senza i ma. Chiaramente con l’ausilio imprescindibile delle prove scientifiche. E del racconto di Marco.

Posto che la ricostruzione dell’efferato crimine spetta agli inquirenti non bisogna smarrire un dato inconfutabile. Prima di morire, Alice Neri ha dato un passaggio a Mohamed. Come confermato dallo stesso. È lui il suo assassino?

In attesa di chiudere il cerchio, un indizio capace di diventare prova potrebbe arrivare dalle taniche di combustibile rinvenute sul luogo del delitto.

Attualmente una delle poche evidenze che hanno a disposizione gli investigatori è che chi ha dato fuoco all’auto di Alice, con il suo corpo all’interno, ha utilizzato olio esausto. Come testimoniato dalle due taniche rinvenute vicino alla roulotte.

Secondo quanto emerso macchie di quel tipo d’olio sarebbero presenti non solo sui vestiti indossati da Mohamed, ma sarebbero state repertate anche sul suo materasso. Si tratta di un indizio capace di fondare la prova? Al momento, solo un dato di natura merceologica.

Sicuramente, ove venisse comprovato attraverso le analisi scientifiche, che quelle macchie sui vestiti e sul materasso sono d’olio, gli inquirenti avrebbero in mano elementi in grado di circostanziare e validare ulteriormente la già compromessa posizione del principale indiziato per l’omicidio di Alice Neri.

E questo per una serie di motivazioni di natura scientifica. L’olio esausto non è né solubile con l’acqua né volatile. Dunque, le sue tracce non sono tracce che possono essere eliminate. Decisamente un vantaggio per chi indaga.

Ma vi è di più. Gli oli combustibili hanno una composizione complessa e fortemente caratterizzante e potrebbero pertanto rivelarsi dirimenti proprio in sede di comparazione tra le presunte macchie rinvenute sugli abiti e sul materasso di Gaaloul e la sostanza rintracciata sulla scena del crimine. Ciò in considerazione della chimica complessa dell’olio esausto, che varia a seconda del grezzo dal quale è stato ottenuto e dai processi ai quali è stato sottoposto.

Tuttavia, come per le tracce biologiche, anche in questo caso c’è un limite insuperabile: quello della datazione. Laddove, quindi, si riscontrasse la sovrapponibilità tra le macchie d’olio, resterebbe l’impossibilità di datarne il rilascio. Un vicolo cieco dal punto di vista probatorio? Non del tutto.

Proprio in virtù delle caratteristiche ora elencate, la composizione dell’olio repertato sarà dirimente – come anticipato – per stabilire o meno l’esatta sovrapposizione tra l’olio delle taniche e quello eventualmente presente sugli abiti e il materasso di Mohamed.

Forse non una prova. Ma sicuramente un indizio capace di rafforzarla. La parola ai tre testimoni che, intercettati, sono stati i primi a riferire delle presunte macchie sugli indumenti e sul materasso del tunisino. Il 6 marzo in aula.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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