Morte del piccolo Tito Traversa, 2 anni all’istruttore. Il papà: “Dimenticato da tutti”
"Ogni giorno ho vissuto e partecipato a questo procedimento. Credevo di doverlo a Tito perché gli fosse fatta giustizia ma mi è rimasta la grande amarezza di non aver sentito nessuno, se non uno degli imputati dire: ‘Mi spiace di non aver fatto di più per evitare la morte di Tito, non so cosa, ma qualcosa'". È l'amaro sfogo di Giovanni Traversa, dopo la sentenza di primo grado emessa oggi il Tribunale di Torino per la morte del figlio, il dodicenne Tito Traversa, giovane promessa dell'arrampicata sportiva deceduto nel 2013 in un tragico incidente sulle montagne francesi. Nel processo erano imputati il titolare della scuola di arrampicata frequentata dal piccolo, l'imprenditore bergamasco che produsse una parte dell'attrezzatura usta da Tito e l'istruttore del giovane arrampicatore di Ivrea.
Il procedimento giudiziario si è concluso con due assoluzioni per non aver commesso il fatto e una sola sentenza di condanna per omicidio colposo a carico dell'istruttore che ha accompagnato Tito Traversa quel tragico tre luglio di cinque anni fa. All'uomo il Tribunale ha inflitto sue anni di carcere perché ritenuto responsabile del mancato controllo della strumentazione prima della fase dell’ascensione in una falesia a Orpierre, in Francia. Come accertato dalle indagini, infatti, Tito è caduto nel vuoto perché gli otto rinvii (i moschettoni con asola che tengono la corda a cui si lega l’arrampicatore) erano stati montati male e avevano ceduto uno dopo l’altro. Il 12enne, soccorso e trasportato all'ospedale di Grenoble, era entrato in coma ed è morto due giorni dopo senza mai riprendere conoscenza. In un ultimo gesto di generosità, i genitori decisero di donare i suoi organi per salvare altre vite.
Per il tribunale l’istruttore, a cui era stato affidato il gruppo di giovani atleti di cui faceva parte Tito, avrebbe dovuto controllare personalmente i moschettoni, solo così si sarebbe accorto che erano stati montati male da una ragazzina minorenne che partecipava al corso. Il pm Francesco La Rosa, che sosteneva l'accusa, aveva chiesto la condanna anche del produttore, sostenendo che avrebbe omesso cautele, non avendo inserito le istruzioni del montaggio, mentre aveva chiesto l’assoluzione del titolare della scuola di arrampicata visto che l'attività quel giorno era stata organizzata direttamente dall'istruttore dei ragazzi.
"Mio figlio è morto a causa di un concatenarsi di responsabilità di cui solo una è stata dichiarata con la sentenza. Mancano all'appello tutta una serie di responsabili che, grazie a una serie di fattori, non sono stati fino ad ora presi in considerazione dalla giustizia" ha dichiarato Giovanni Traversa, ricordando: "Dal giorno della tragedia a oggi si sono verificati una serie di inceppi che hanno consentito l'impunità di alcune figure. Il procuratore Guariniello, che aveva iniziato il procedimento, ha dovuto abbandonare l'accusa perché è andato in pensione, e le risultanze testimoniali raccolte e cristallizzate in fase di indagini, a mio avviso non solo per il tempo trascorso, non hanno avuto conferma dibattimentale, così che il giudice si è trovato a decidere su basi molto diverse dalla realtà". "Ci tengo a precisare – ha aggiunto il papà del ragazzo – che i 100mila euro da me ricevuti dall'azienda sono stati interamente destinati a progetti in memoria di Tito dedicati all'infanzia, in fase di elaborazione con Casa Ugi". "Speriamo possano consentire ai bambini meno fortunati di trovare un momento di sorriso nella pratica dello sport che tanto era caro a mio figlio", ha concluso Giovanni Traversa.