Diavolo o santo? A poche ore dalla morte del cardinale George Pell, ex arcivescovo di Melbourne e Sydney, il porporato più famoso della storia dell’Oceania, difensori e critici si dividono, come spesso succede quando si parla di questioni di Chiesa.
“Con la morte di George Pell la Chiesa ha perso un grande leader e l’Australia uno dei suoi grandi figli: è stato un santo per i nostri tempi”, ha dichiarato l’ex primo ministro australiano Tony Abbott, ma c’è anche chi la vede in modo diametralmente opposto.
Uno tra tanti, l’ex membro della Camera dei Rappresentanti australiana Tony Windsor che, in modo tagliente ha scritto su Twitter di rivolgere un pensiero “a quelli che sono morti o hanno subito traumi di lunga durata a causa degli abusi della Chiesa cattolica e alle loro famiglie, che ancora soffrono” concludendo con una frase cattivissima: “Se c’è un inferno, un nuovo ospite è arrivato”.
Dal 2013 a Roma su chiamata di papa Francesco, che lo aveva voluto nella Curia Vaticana, Pell era stato indagato, nel 2017, dalla polizia australiana per aver violentato due chierichetti. Condannato in primo e secondo grado, dopo essere stato in carcere oltre quattrocento giorni, Pell fu assolto dall’Alta Corte perché era stato dato troppo peso alle testimonianze degli accusatori e non ad altre che, invece, lo avrebbero scagionato.
Mai un porporato del livello di Pell, nella storia della Chiesa, era stato incarcerato per abusi sessuali. Pell si è sempre dichiarato innocente, ma con stoicismo ha accettato di andare in carcere senza fare polemiche. Il suo libro di memorie “Diario dalla prigionia”, edito in Italia da Cantagalli, è poi diventato un best-seller.
Tutte le sentenze erano state molto controverse e avevano dato vita a un enorme dibattito, sia in Australia che nel mondo cattolico. A Pell veniva contestato, inoltre, di aver fatto di tutto, quando era arcivescovo, per coprire abusi sessuali perpetrati nel corso di decenni, di non aver collaborato adeguatamente con la giustizia, ma anche di aver offerto risarcimenti irrisori alle vittime e alle loro famiglie e, in generale, di non aver mostrato sufficiente compassione nei confronti degli abusati.
Un rapporto di una commissione parlamentare sul tema riportava che “già dal 1973 il cardinale Pell non solo era consapevole degli abusi sessuali su minori da parte del clero, ma aveva considerato misure idonee ad evitare situazioni che avessero provocato discussioni su questo tema”. Rapporto che aveva gettato ulteriori ombre sulla figura del cardinale.
Papa Francesco, che lo aveva nominato Prefetto del Segretariato per l’Economia del Vaticano, una sorta di Ministro delle Finanze della Santa Sede, lo ha sempre difeso, anche se in modo discreto. Quando Pell è stato assolto, è volato a Roma per vivere vicino al pontefice, seppur senza incarichi ufficiali.
Questo nonostante Pell non appartenesse all’ala “progressista” della Chiesa, di cui le semplificazioni giornalistiche mettono a capo l’attuale pontefice, ma a quella tradizionalista.
Pell, infatti, ha sempre avuto posizioni molto rigide sull’omosessualità, l’aborto, la contraccezione, l’eutanasia ed era contrario ad un ruolo più ampio per le donne della Chiesa.