Morta nei campi per due euro l’ora: chiesto processo per le persone che arruolarono Paola
Sei persone potrebbero finire a processo con l’accusa di aver gestito la rete del caporalato nella provincia di Brindisi-Andria-Trani, reclutando braccianti agricoli attraverso un'agenzia interinale di Noicattaro (Ba). L’inchiesta è partita dopo la morte di Paola Clemente, la 49enne di San Giorgio Ionico stroncata da un infarto mentre lavorava nelle campagne di Andria nel luglio del 2015. Le indagini hanno escluso l’iniziale ipotesi di omicidio colposo ma accertato lo sfruttamento del lavoro. Gli indagati ora sono dunque divenuti sei imputati, grazie gli sviluppi dell'indagine, condotta dagli agenti del locale Commissariato della Polizia di Stato e dai Finanzieri della Compagnia di Trani, originariamente rubricata per omicidio colposo, e poi sfociata nella contestazione degli illeciti che sarebbero stati commessi a vario per reclutare e gestire numerosi braccianti occupati nei campi della provincia di BAT. L'autopsia sul corpo della vittima ha infatti escluso l'iniziale accusa (poiché la donna morì d'infarto), accertando però lo sfruttamento del lavoro nei confronti della donna e di numerosi altri lavoratori.
I sei imputati
Per effetto della richiesta di rinvio a giudizio, davanti al giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Trani compariranno P.B., 52 anni, di Conversano, direttore della divisione agricoltura dell’agenzia Infor Group di Noicattaro, O.C., 47enne di Bari e G-M, 29enne di San Giorgio Jonico, gestori dell’agenzia di lavoro, C.G., 43enne di Monteiasi, titolare della ditta che trasportava i braccianti nei campi, sua cognata G., 47enne di Monteiasi che, insieme a Grassi, “sarebbe stata capace di mobilitare centinaia di braccianti”, M.L.M., 39enne di Monteiasi, moglie di Grassi, accusata solo di truffa.
Le accuse della Procura
Secondo le accuse della magistratura di Trani, i braccianti venivano sfruttati, minacciati ed intimiditi, prospettando loro di non esser più chiamati “in caso di ribellione e non accettazione delle condizioni di sfruttamento”: gli imputati avrebbero dunque approfittato del loro stato di bisogno, al cospetto di una “scarsa offerta di lavoro alternativo”. I lavoratori erano soprattutto donne, che con quel durissimo lavoro riuscivano a procacciarsi l’unica fonte di reddito familiare. Paghe di pochi euro all’ora nonostante faticassero sotto il sole per giornate intere.