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Moretti (Ferrovie dello Stato) non può paragonarsi ai tedeschi: ecco perché

L’amministratore di Trenitalia (che non vuole tagliarsi lo stipendio da 850mila euro) fa il paio con il suo omologo tedesco che guida la Db Bahn. Ma i numeri dicono che quel parallelo è a dir poco improponibile.
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DAL CORRISPONDENTE DA BERLINO

Prestazioni modeste, per non dire del tutto insoddisfacenti. Un quasi trascurabile incremento dei passeggeri e opinabili capacità comunicative da parte dell'azienda.
Mauro Moretti – amministratore delegato di Trenitalia – dovrebbe pensare a questi dati prima di lamentarsi sia del suo lauto onorario (secondo quanto affermato dallo stesso Ad, la retribuzione annua è pari a circa 850mila euro) che lanciarsi in arditi paragoni con le performance della tedesca Deutsche Bahn (DB) e del suo omologo Rüdiger Grube. Trattandosi di ferrovie il primo dato su cui si deve ragionare è quello relativo alla movimentazione passeggeri e, dunque, alla soddisfazione dei clienti per i servizi erogati. Il dato che emerge, non senza difficoltà di ricerca, è che nel 2012 Trenitalia ha ospitato a bordo delle sue carrozze 854 milioni di passeggeri, pari ad un aumento dello 0,89% rispetto al periodo 2004-2011 (fonte Istat). Ben superiore la prestazione della DB che ha registrato nella sola Germania un aumento del 2,5% delle presenze con il trasporto di circa 1.974 milioni di passeggeri (fonte rapporto annuale DB 2012). Già questo dato sarebbe sufficiente a far vacillare, almeno in Germania o anche nel Regno Unito, qualunque poltrona di vertice dell'azienda in questione. E poco importa che questi “numeri” non vengano riportati con sufficiente chiarezza nei report aziendali (questo il motivo per cui la fonte è l'Istat e non Trenitalia come sarebbe stato auspicabile). Nell'ultima indagine disponibile, così come nelle principali esternazioni di Mortetti, l'unico dato facilmente riscontrabile e verificabile riguarda i passeggeri dell'Alta velocità che, giusto per correttezza d'informazione, nel 2012 hanno superato i 35 milioni.

Ma, forse, il punto è proprio questo. Perché coloro che si spostano attraverso i treni di lusso rappresentano, dati alla mano, una minoranza quasi trascurabile (circa il 4 per cento) dell'intero mondo di passeggeri e pendolari che quotidianamente si sposta attraverso lo Stivale. Una delle strategie centrali di Trenitalia, sia dal punto di vista del core business che comunicativo, sta proprio nell'accentuare il miglioramento, indiscutibile, della rete ad alta velocità e nell'aumentata offerta possibile. Ciò di cui, invece, ci si dimentica riguarda sia il collegato ed incontrovertibile aumento dei prezzi – sia per quanto riguarda i treni di lusso che, soprattutto, quelli di fascia bassa –, che la soppressione di numerosi convogli locali ed interregionali, implicando la diminuzione dei servizi stessi a disposizione di una clientela sempre più costretta a estenuanti trasferte.

Come si legge nello stesso rapporto di Trenitalia (p.26): “I ricavi da servizi di trasporto registrano un decremento di 247 milioni di euro (-4,0%), derivante dalla riduzione dei ricavi da mercato (-147 milioni di euro) e dei ricavi da contratto di servizio pubblico con le Regioni e con lo Stato (-101 milioni di euro). La diminuzione dei ricavi da mercato è stata a sua volta generata da: minori ricavi da traffico viaggiatori sulla media-lunga percorrenza (-127 milioni di euro) […]”.
Tornando, tuttavia, all'ingeneroso paragone tra Trenitalia e DB sembra interessante ricordare che se il fatturato dell'azienda italiana nel 2012 ha toccato gli 8,2 miliardi di euro, quelli della concorrente tedesca hanno superato i 39 miliardi. Basta compiere una banale proporzione tra quanto prodotto, in termini di fatturato, dall'azienda italiana e da quella tedesca per giungere alla conclusione che lo stipendio elargito a Grube (pari a 2,46 milioni di euro annui e meno di quanto percepiva in precedenza come numero uno della Deutsche Post) risulta essere di fatto inferiore a quello del suo omologo italiano, visto che la DB fattura circa quattro volte in più di Trenitalia.

Ciò che, infine, colpisce delle parole di Moretti è il riferimento ai manager pronti ad andare via dalle aziende italiane a partecipazione statale perché sarebbero retribuiti troppo poco. Ebbene, giusto per rinfrescare la memoria, in paesi quali la Germania o il Regno Unito, chi ha intenzione di ingrossare sostanzialmente il proprio conto in banca, intraprende numerose attività tranne proprio quella di ricoprire incarichi pubblici, politici o legati ad aziende di Stato. Questo perché, in queste realtà, le retribuzioni sono estremamente più basse modeste – seppur si parli di cifre a cinque o sei zeri –, rispetto alle aziende private dello stesso ramo ed inferiori anche a quelle dei loro omologhi nel Belpaese. Basti ricordare, a titolo del tutto esemplificativo, che il presidente della Repubblica Federale Joachim Gauck guadagna circa 199mila euro l'anno mentre il nostro Giorgio Napolitano ne incassa 230mila, mentre la cancelliera Angela Merkel – da molti definita la donna più potente del mondo – guadagna circa di 220mila euro l'anno (più benefit che le fanno raggiungere quota 290mila). In generale, secondo i dati più diffusi, i dirigenti della pubblica amministrazione tedesca guadagnano circa cinque volte il reddito medio nazionale, mentre i colleghi italiani arrivano a toccare la doppia cifra di 12 volte. Lo squilibrio, forse, sta proprio nel pensare che attraverso le aziende pubbliche sia possibile fare carriera, in termini monetari, quando invece dovrebbe essere chiaro che si sta fornendo – per propria scelta – un servizio alla comunità non dovrebbe perseguire come obiettivo primario quello dell'arricchimento personale.

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