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Monti-Fassina, lo scontro da Lerner che non c’è stato

Ospiti entrambi di Gad Lerner, hanno mostrato il massimo vicendevole fair play, nonostante le divergenze evidenti. Si è parlato del caso Monte dei Paschi e delle conseguenze politiche che potrebbe provocare.
A cura di Andrea Parrella
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Rai - Trasmissione tv 'Ballarò'

L'apertura del programma Zeta, il nuovo approfondimento politico di Gad Lerner, è stato luogo di un incontro particolare ed atteso da tempo in relazione al passato recente e quello che potrebbe essere il futuro prossimo della composizione parlamentare e di quel tanto discusso ed ipotizzato accordo già scritto tra il Pd e il centro per il governo che nascerà: Mario Monti e Stefano Fassina. Proprio quel responsabile economico del Pd che Mario Monti aveva indicato, nel principio della sua campagna di "salita" in campo, come uno di quei soggetti da silenziare affinché il Pd potesse davvero avviare un processo riformista di governo.

Per la verità, a guardare i due soggetti, e il conduttore che li moderava, non ci si aspettava bagarre di alcun tipo. Molto semplicemente, Fassina e Monti, dopo essersi vicendevolmente rivolti degli attestati di stima, hanno chiaramente palesato le proprie divergenze. In particolare Mario Monti, che ci ha tenuto a precisare su quell'affermazione male interpretata nella quale faceva leggero uso del verbo "silenziare". Indipendentemente dal vigore e l'aggressività del termine, Monti ha solo precisato in modo più lieve la differenza di posizioni con l'ex studente bocconiano, di fatto mente economica del partito che si appresta a governare probabilmente l'Italia.

Ma aldilà delle vedute sulla politica economica, la puntata di debutto del programma si è concentrata sul caso Monte dei Paschi. Proprio ieri mattina il presidente del consiglio, a Radio Anch'io aveva evidenziato una connessione stretta tra il Pd e la vicenda della fondazione. Per la verità anche in questo caso ha parlato di una sostanziale interpretazione errata della stampa, poiché la sua intenzione era solamente limitarsi, a domanda posta, a constatare che ci fosse una commistione particolare tra l'assetto politica della città fiorentina e la dirigenza del gruppo stesso. Poi ha precisato dell'innocenza assoluta del prestito al gruppo (solo casualmente di pari importo dell'Imu), precisando che in parte fosse già stato prestabilito dal suo predecessore, Giulio Tremonti, e soprattutto che il prestito predisposto dallo stato, oltre a non essere ancora stato emesso, era totalmente sicuro e tutelava gli italiani, in quanto era predisposto per non essere concesso in caso di rosso del gruppo che ne avrebbe beneficiato ed avrebbe garantito un ritorno di interesse alto.

Fassina, in difesa del proprio partito, pur dovendo chiaramente ammettere che un circuito vizioso esistesse, ci ha tenuto a precisare come la responsabilità dell'emersione del caso è dovuta anche all'ultimo sindaco Ceccuzzi, il quale avrebbe provato ad interrompere proprio questo circolo. Tutto ciò che nel resto della discussione è venuto fuori è la sostanziale divergenza sistemica tra i due personaggi, che fondamentalmente li rimanda a due concezioni politiche che stanno sostanzialmente agli antipodi. Nella polemica di Fassina a Monti sono forti le opposizioni alle riforme strutturali che hanno caratterizzato il governo tecnico per la proverbiale accezione austera. Fassina ha chiesto più domanda, poiché senza quella l'offerta rischia di non generarsi. Il pericolo con la rigidità montiana porterebbe, in maniera molto elementare, alla depressione della domanda stessa.

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