
Quando è arrivata la diagnosi definitiva, per Monica è stata davvero una doccia fredda. “Il primario mi chiamò nel suo studio per chiedermi quante sigarette fumassi. Io? Ma io non ho mai fumato”. Eppure quella malattia così rara e dal nome quasi impronunciabile aveva deciso di iniziare una partita difficile ma non impossibile proprio con lei, Monica Capasso, 46 anni. Mamma di origine napoletana di due figli, residente da tempo a Falconara Marittima, vicino Ancona.
La malattia in questione, al momento incurabile, si chiama linfangioleiomiomatosi. È una patologia polmonare che colpisce solo le donne, con la probabilità di un caso ogni milione di persone. Già, uno su un milione. Difficile da accettare. “Pensavo: miseria, ma proprio io” racconta Monica, che ormai da cinque anni lotta con questo male di cui finora si sa ancora ben poco. Le associazioni di volontariato per il supporto dei malati non mancano, a differenza dei fondi a disposizione per la ricerca. Ce ne sarebbe un gran bisogno.
La linfangioleiomiomatosi è una malattia che si manifesta in maniera diversa da persona a persona. Nella maggior parte dei casi i primi sintomi sono dolore al torace, difficoltà respiratorie, tosse molto forte. Con un trapianto doppio di polmone forse si può fare qualcosa, ma non è detto. Al momento la ricerca scientifica ha messo a disposizione solo dei medicinali che ne rallentano il decorso. “Io però sono fiduciosa, prima o poi troveranno un farmaco adatto” dice Monica, che nonostante la malattia non si è mai arresa.
Riuscire a capire di cosa si trattasse, però, non è stato facile. Di medico in medico, di ricovero in ricovero, è dovuto passare un bel po’ di tempo prima di scoprire la verità. Anche perché i primi esami (“Si tratta di una malattia subdola”) non lasciavano trasparire nulla. Poi si è cominciato a sospettare che la patologia di Monica fosse un enfisema polmonare, fino a quando, dopo una tac richiesta e ottenuta per conto proprio, dall’ospedale San Giuseppe di Milano non arriva “la notizia che nessuno vorrebbe sentire”.
“Il primo pensiero è andato ai miei figli” dice Monica, che adesso, dopo aver lasciato il lavoro, vive praticamente chiusa in casa con i suoi animali e una macchinetta sempre attaccata al naso per consentirle di respirare. Una macchinetta per l'ossigeno da ricaricare ogni due ore, rendendo praticamente impossibile qualsiasi cosa. “Adesso vivo giorno per giorno, col sorriso anche se faccio le cose a rilento –aggiunge-. Vorrei fare di tutto e di più, però penso a quante persone soffrono e lottano contro una patologia, ed io sono solo una fra le tante. Ma una tra le tante che spera nella guarigione”.
"Voglio vivere, amo la vita. La amo anche così, sotto questa prospettiva che mi costringe a guardarla in maniera diversa" dice ancora Monica, che anche grazie al suo fortissimo legame con la fede, non si è mai arresa: scrive, ha un canale su Youtube dove commenta il Vangelo della settimana, accoglie sui social chi come lei ha bisogno di una parola di conforto per andare avanti e la sua storia è arrivata addirittura in Vaticano, tanto che a scriverle non molto tempo fa è stato persino Papa Francesco.
“La malattia, paradossalmente, mi ha fatto capire quali sono le cose davvero importanti” aggiunge Monica, che quindi, oltre all’appello rivolto a chi “ha il potere di accelerare per trovare un farmaco salvavita”, conclude rivolgendosi invece “alle persone che si lamentano: volevo dirvi con tutto il cuore di non sprecare il vostro tempo con cose futili, banali. Godetela di più la vita. Non sprecatela, voi che avete il tempo”.
