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Covid 19

“Mio marito era un operaio sano: non l’hanno curato bene ed è tornato a casa in una bara”

Lo strazio della famiglia di Orazio, siciliano di Gela, deceduto in Lombardia a causa del Coronavirus. Dai primi sintomi influenzali al ricovero in terapia intensiva, una settimana di silenzio poi il decesso. La moglie e il figlio a fanpage.it:”Doveva rientrare il 16 marzo e invece è ritornato il 31 marzo direttamente al cimitero, senza l’onore di un funerale e senza nessuno, a morire da solo, un dolore che mi sta uccidendo perché è atroce”
A cura di Francesco Bunetto
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Doveva rientrare sano e salvo a casa dalla sua famiglia siciliana il 16 marzo scorso, Orazio Condorelli, 47enne metalmeccanico di Gela, dopo un lavoro in Spagna e, invece, ritorna per completare un lavoro ad Albino, in provincia di Bergamo, proprio nei giorni culminanti del contagio del Coronavirus. Dai primi sintomi influenzali al ricovero in terapia intensiva, una settimana di silenzio poi il decesso. Lo strazio, il rimorso dei figli e della moglie per non avergli dato l'ultimo saluto:"Mio marito non aveva problemi di spostarsi con il suo lavoro – ha raccontato a fanpage Concetta, la moglie di Orazio – perché sapeva fare tutto, dove lo portavano si adeguava al lavoro, all'ambiante e a tutto. Lavorava ad Albino, con una ditta di Bergamo – continua la moglie – era in officina che preparava i pezzi, poi li montava, sapeva fare di tutto".

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"Doveva rientrare in Sicilia"

Dopo la trasferta lavorativa in Spagna, Orazio doveva far rientro in Sicilia per riabbracciare la sua famiglia e, invece, ritorna ad Albino, in provincia di Bergamo, in piena zona rossa del contagio del Covid-19. Quel lavoro che gli è costato la vita. "Doveva rientrare il 16 marzo a Gela – dice la moglie Concetta – doveva fare un lavoretto ad Albino, e sono sicura che è stato contagiato subito lì, perché il quel periodo c'era il boom di questa situazione disastrosa.

"Una banale influenza"

Dopo il contagio è stato male – ha detto la moglie – tosse, raffreddore, sembrava una banale influenza ma i giorni passavano e lui peggiorava, io stessa gli dicevo di andare in guardia medica, mi ascoltò e dopo la visita lo portarono direttamente all'ospedale Locatelli di Bergamo perché positivo al Covid-19".  Dall'ossigeno al casco respiratorio, da lì inizia il suo calvario.

"Era stabile"

Orazio quotidianamente, si teneva in contatto con la sua famiglia attraverso le videochiamate. Sembrava fosse stabile ma giornalmente la sua situazione peggiorava fino allo spostamento in terapia intensiva. "Le chiamate duravano 3 o 4 minuti – ha raccontato la moglie Concetta – perché mi diceva che non ce la faceva più a parlare, fino a quando gli hanno messo questo casco respiratorio. Eravamo tutti preoccupati – continua la moglie – sentivo il medico ogni giorno e mi comunicavano che era normale, stabile e che dovevo avere pazienza perché la malattia si doveva curare così".

Un uomo sano

"Orazio – racconta la moglie Concetta – era un uomo sano, non aveva mai avuto malattie e non soffriva di patologie al cuore o in altri organi."Penso che gli hanno fatto scoppiare il cuore dall'affaticamento – continua – quei dieci giorni di ricovero è stato curato male e l'ultima settimana, anche se era intubato, non ce l'ha fatta perché era stanco e il cuore non ha retto".

Morire da solo

Una lunga settimana fatta di  telefonate giornaliere con il medico, tra alti e bassi, Orazio peggiorava ogni giorno di più, fino alla chiamata conclusiva, quella in cui hanno comunicato a Concetta che il marito Orazio, purtroppo, era deceduto. Orazio Condorelli, lascia la moglie di 40 anni e due figli: Emanuele di 18 e Gloria di 14 anni. "Mio marito era da solo – dice la moglie Concetta – e io adesso ho un rimorso «Io qui senza poter fare niente e lui lì a morire da solo» ci hanno lasciato così – conclude la donna – senza spiegazioni, doveva rientrare il 16 marzo e invece è ritornato il 31 marzo in modo straziante, direttamente al cimitero, senza l'onore di un funerale e senza l'ultimo saluto di amici e parenti a morire da solo, un dolore che disgraziatamente mi sta uccidendo perché è atroce e basta"

A mio padre

"Mio papà un grande uomo, una grande persona, un lavoratore, non ci faceva mancare niente, non ci sono parole come poterlo definire". Sono le parole strazianti del figlio di Orazio, Emanuele di 18 anni che ha visto solo in videochiamata l'ultimo saluto del papà, ricoverato al nord Italia, lontano da casa sua e dalla sua famiglia. "Porterò sempre un bel ricordo di lui – continua il figlio Emanuele – ho a casa alcuni oggetti che conserverò per sempre, creati con lamiere di alluminio e di legno – ha raccontato Emanuele – non abbiamo potuto fare neanche un giusto funerale per lui che lo meritava. "Quando finirà tutto – conclude Emanuele – sarà fatta una messa in suo onore come si deve, lo meritava veramente il mio papà".

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