“Mio figlio come Cucchi: morto in carcere per un pestaggio, voglio giustizia”
“Me lo hanno ucciso”. Sono le parole di Maria Ciuffi, mamma coraggio che da diciassettenne anni si batte perché venga celebrato un processo ai presunti responsabili della morte di suo figlio Marcello Lonzi, deceduto l’11 luglio 2003, nel carcere ‘Le Sughere' di Livorno, ufficialmente per arresto cardiaco, all’età di 29 anni. "Per me è stato omicidio, Marcellino è stato pestato" dice Maria. Marcello, come spiega a Fanpage.it, si trovava in carcere per una condanna a nove mesi, di cui quattro già scontati, per tentato furto. “Mio figlio viveva un periodo difficile con il lavoro – spiega – spesso lo aiutavo con la spesa perché potesse provvedere a sé e a Barbara, la compagna. Era un ragazzo tranquillo e presto sarebbe uscito per andare in comunità”. L’11 luglio 2003, però, a soli 29 anni e godendo di una perfetta salute, Marcello Lonzi muore nella cella 21, in un lago di sangue, fuoriuscito, secondo l'inchiesta ufficiale, per una presunta caduta in cui avrebbe sbattuto contro i mobili della cella. Suo padre e sua madre ne vengono informati solo l’indomani e non hanno neanche il tempo di nominare un medico che partecipi all’autopsia che intanto si sta svolgendo al cimitero dei Lupi, per mano del dottor Alessandro Bassi Luciani.
Sarà proprio quello l’esame che farà archiviare il caso per morte naturale, identificando le lesioni in traumi da caduta. Alla madre non resta molto altro da fare che richiedere un esame medico legale di parte basato sulle cruente foto della scena dell’evento, tutto ciò che resta di quel tragico venerdì. Ne viene fuori una controperizia che pone seri e circostanziati dubbi su quelle ferite. Intanto il sangue. Perché sul pavimento sono presenti delle strisciature simili a quelle prodotte trascinando il cadavere? Il corpo è stato spostato prima dell’arrivo dei paramedici? E quelle lesioni al volto e al corpo che per forma e profondità sono incompatibili con l’urto sui mobili della cella? Tanto basta perché nell’estate del 2006, tre anni dopo i fatti, il caso venga riaperto e finalmente il Gip autorizzi la riesumazione per una seconda autopsia. Stavolta l'esito è diverso: il medico legale riscontra la rottura delle costole, un trauma che potrebbe, tra l’altro, essere la conseguenza di una manovra rianimatoria. Le ferite sul volte e sul corpo, ancora una volta, appaiono incompatibili con la caduta accidentale così come descritta dai testimoni, tra cui il compagno di cella di Marcello, che disse di averlo visto bocconi sul pavimento.
“Ho parlato con un ex detenuto presente all’epoca dei fatti – racconta Maria Ciuffi – mi ha riferito che quella mattina Marcello ‘si era preso’ (aveva litigato) con un agente penitenziario e che nel pomeriggio alcune persone erano andate ‘a prendere’ Marcello in cella, dopodiché in sezione ci sarebbe stato un viavai e di persone e voci sconosciute e poi la notizia della morte di Marcello. Lo stesso detenuto, però, in sede di verbale ha dato una versione diversa da ciò che ha raccontato a me”. Incongruenze dunque, ma anche silenzi e reticenze in un caso che sembra meritare ulteriori approfondimenti investigativi.
Dopo numerose richieste di archiviazione, oggi, il caso è passato nelle mani dell’avvocato Serena Gasperini, legale di parte civile, che ha richiesto al Gip, Antonio Del Forno un esame che potrebbe rivelarsi decisivo: la Bpa (Bloodstain pattern analysis), l’esame della traiettoria delle tracce di sangue. Pur avendo il Pm nulla opposto alle richieste della difesa della persona offesa in merito alla prosecuzione delle indagini, il gip ha rilevato un passaggio procedurale mancante che, laddove le indagini fossero svolte, non ne permetterebbe l’utilizzazione. Pertanto, non appena riapriranno i tribunali dopo lo stop per l'emergenza sanitaria verrà presentata una nuova istanza. Un passo solo formale. “Basta guardare le foto del mio Marcellino- conclude mamma Maria – vi sembra veramente infarto?”