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Milano, camionisti ridotti in schiavitù: 20 ore di fila alla guida

Indagato un imprenditore di Arconate, nel milanese: obbligava i dipendenti a turni impossibili e li controllava persino in bagno. Dopo la denuncia di alcuni ex lavoratori della ditta è partita l’indagine della Polizia stradale.
A cura di Francesco Loiacono
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Erano costretti a guidare senza cambio per 20 ore di fila. Non potevano fermarsi nemmeno per mangiare, mentre per andare in bagno avevano a disposizione appena 6 minuti, tutto in diretta telefonica per far sentire i rumori di sottofondo al proprio capo. E così, dopo la denuncia di alcuni ex dipendenti di una ditta di trasporti di Arconate, in provincia di Milano, un imprenditore-padrone si ritrova indagato per violenza privata e omissione dolosa degli obblighi previsti dalla legge per evitare incidenti sul lavoro. L’indagine della procura milanese ha permesso di ricostruire la giornata tipo di alcuni camionisti, dipendenti della ditta. Sarebbero otto, al momento, le persone che hanno raccontato le condizioni di lavoro al limite della sopportazione, una vera e propria moderna schiavitù per poter conservare il proprio posto. Per aggirare la legge, che obbliga gli autisti dei camion a fermarsi per 45 minuti ogni 4 ore e mezzo di guida o a darsi il cambio con i colleghi, i camionisti della ditta di Arconate portavano con loro una scheda magnetica intestata a un collega, in maniera da ingannare le scatole nere installate sui mezzi e anche i nuovi autovelox in grado di rivelare il rispetto dei turni. Come pasto, i dipendenti dovevano accontentarsi di un panino consumato alla guida, senza possibilità di potersi fermare. Soste brevissime, invece, al limite del possibile, erano consentite per espletare i bisogni fisici. Ma in questo caso gli autisti dovevano rimanere in contatto telefonico con il figlio dell’imprenditore, il quale controllava che i rumori di sottofondo corrispondessero a quelli, inequivocabili, di una toilette.

Sarà un giudice adesso a verificare la veridicità della storia, soprattutto per escludere che dietro le testimonianze raccolte da parte degli otto ex dipendenti, tutti italiani, vi possano essere motivazioni nascoste. Al momento sembra che altri camionisti, attualmente sotto contratto con la ditta, abbiano minimizzato gli episodi, forse per timore di perdere il proprio posto di lavoro.

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