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Migranti, organizzavano viaggi disperati verso l’Italia: arrestati 3 scafisti

“Nessuno sale sui gommoni se non abbiamo i nostri dinari. Noi siamo dei business man”. Così al telefono i trafficanti di uomini, arrestati in Sicilia. Avrebbero organizzato una serie di viaggi a bordo di gommoni provenienti dalla Libia che hanno raggiunto le coste siciliane, dietro un pagamento di 2400 $ a persona.
A cura di Biagio Chiariello
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Associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina aggravata dalla transnazionalità. Sono le accuse che pendono nei confronti di tre immigrati arrestati dalla polizia di Palermo ed Agrigento, in collaborazione con la Capitaneria di Porto, su disposizione della Procura Distrettuale Antimafia del capoluogo, sospettati di essere trafficanti di uomini, responsabili della strage dei profughi di febbraio, quando almeno 300 disperati sono morti affogati nelle acque di Lampedusa. Gli indagati "hanno organizzato una serie di viaggi della speranza a bordo di gommoni, provenienti da porti libici, che , in più soluzioni, hanno raggiunto, attraversando il Canale di Sicilia, le coste siciliane", dicono gli inquirenti.

I trafficanti di migranti

Gli arrestati avrebbero organizzato una serie di viaggi a bordo di gommoni provenienti dalla Libia e diretti verso le coste siciliane, dietro un pagamento di 2400$ a persona. I tre sarebbero le tre figure principali dell'organizzazione: il "capo", così lo chiamavano. E poi il procacciatore di migranti, quindi il cassiere. Il gruppo aveva una base operativa in Sicilia, e prometteva e garantiva il raggiungimento, non solo dell’Italia, ma anche di mete nord europee.  "Nessuno sale sui gommoni se non abbiamo i nostri dinari. Noi siamo dei business man". Così al telefono i trafficanti comunicavano tra loro, secondo le intercettazioni registrate dagli inquirenti.

Le testimonianze dei sopravvissuti

“Per due settimane siamo stati rinchiusi in una casa di campagna in attesa dell'imbarco", ha raccontato uno dei sopravvissuti, riporta Repubblica. "Stavamo in una casa vigilata da uomini armati, ci tenevano come prigionieri, non potevamo neanche discutere a voce alta perché subito arrivavano i guardiani a minacciarci con le armi". Un altro migrante non voleva salire sull'imbarcazione: "Mi faceva paura quella barca in legno, sono stato picchiato e minacciato con una pistola". E c’è chi racconta anche di episodi drammatici: "Durante la navigazione ho visto morire di freddo molti miei compagni, ci avevano dato delle coperte di plastica per ripararci, a turno si poteva entrare nell'unica cabina dell'imbarcazione, entravamo cinque alla volta, non c'era spazio per tutti".

Il naufragio dello scorso febbraio: 300 morti

L’attività degli investigatori si è concentrata sui tre membri dell’organizzazione anche alla luce del tragico viaggio tra la Libia e Lampedusa dello scorso febbraio, nel corso del quale è avvenuto il naufragio che ha causato la morte di circa 300 migranti, di cui soltanto 29 corpi sono stati recuperati. Gli stessi trafficanti sarebbero anche responsabili di avere favorito la fuga di numerosi profughi dai centri di accoglienza, assicurando loro supporto logistico per muoversi nell’anonimato. Ora gli inquirenti sarebbero sulle tracce di quarto extracomunitario attualmente latitante. Le indagini sono coordinatore dai pm Geri Ferrara, Alessia Sinatra e Claudio Camilleri, coordinati dal Procuratore aggiunto Maurizio Scalia.

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