Michele, disabile suicida a 17 anni per colpa dei bulli. La madre: “L’inchiesta è ferma”
Sono trascorsi venti mesi da quando Michele Ruffino, 17enne di Rivoli, decise di suicidarsi lanciandosi dal ponte sulla Dora di Alpignano e mettendo in questo modo fine alla sua giovane vita. Quel giovane preferì cancellare le umiliazioni subite dai suoi amici e compagni con un salto nel vuoto. Per la sua disabilità fisica – dovuta a un vaccino scaduto somministrato quando aveva solo sei mesi – Michele fu sottoposto a violenze psicologiche e atti di bullismo, che mai riuscì a raccontare ai famigliari. Solo dopo la sua morte vennero ritrovate sul suo computer molte lettere in cui il 17enne scriveva avrebbe desiderato essere accettato dagli altri così com’era ed avere molti amici.
Ebbene, una settimana fa è stato il compleanno di Michele e sua madre Maria Catrambone, che ha fondato l’associazione Miky boys per aiutare tutte le vittime di bullismo, due giorni fa a Rivoli ha voluto ricordare suo figlio e illustrare i progetti futuri. In un'intervista rilasciata al Corriere la donna ha ricordato come Michele fosse stato preso di mira dai suoi coetanei perché camminava male e come nessuno, neppure gli insegnanti, abbia fatto abbastanza per aiutarlo e proteggerlo: "Ho deciso di farmi forza, di trasformare il dolore in qualcosa che possa aiutare i ragazzi come mio figlio. Michele mi ha dato una missione. Giro l’Italia: vado nelle scuole e nei teatri e racconto cosa è accaduto. Sto per partire per Monza, una mamma mi ha cercata. Ha una figlia di 11 anni. La gente si stupisce, ma i bulli colpiscono già alle elementari, anzi, alla materna. La bimba è sorda e la stanno massacrando", ha spiegato la donna.
Riguardo l'inchiesta giudiziaria aperta dopo la morte di Michele Maria ha spiegato: "È ferma. Dopo 20 mesi non ho ancora risposte dalla giustizia. Eppure persino dopo la morte Michele è stato preso in giro, sui social. Ho denunciato tutti, scuola compresa e un ragazzino che rideva di lui al suo funerale. Per i bulli di mio figlio non voglio il carcere, ma la rieducazione. C’entrano anche i genitori, che non educano più perché è più comodo dare un tablet in mano ai figli. Bisogna formare loro per primi. Mi dicevano che il problema era di Michele, che erano solo ragazzate".