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Opinioni

Mi vergogno di vivere in un paese che non rispetta i giovani neanche da morti

Il silenzio di Matteo Renzi e del governo sull’insabbiamento della verità della morte di Giulio Regeni sono una vergogna per questo paese.
A cura di Michele Azzu
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Oggi mi sono vergognato di essere italiano. Oggi mi vergogno, ancora una volta, di non essere (almeno) uno di quei tanti italiani giovani emigrati all’estero, perché almeno potrei guardare con un po’ di distacco a quello che è successo a Giulio Regeni, il ricercatore di 28 anni torturato e ucciso in Egitto due mesi fa.

Non ci sono parole per descrivere l’ennesimo schiaffo del governo egiziano alla verità di quello che è successo negli ultimi giorni in cui Regeni è stato rapito al Cairo, prima di essere ucciso. L’unica parola con cui si può descrivere quanto accaduto nelle ultime ore è: “oltraggio”, come scrive Carlo Bonini su Repubblica.

Le ultime dal ministero dell’interno egiziano, che avrebbero trovato i documenti di Regeni a casa di una banda di sequestratori – tutti deceduti nello scontro con le forze dell’ordine egiziane – è talmente assurda da avere suscitato l’indignazione di tutti: la famiglia di Giulio, gli inquirenti, la stampa internazionale.

Mentre accade tutto questo il nostro Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, tace. Delega a due righe nella sua e-news un pensiero alla famiglia di Regeni e scrive: "L'Italia non si accontenterà di nessuna verità di comodo", affermazione identica a quella fatta settimane fa. Nessun cenno alla nuova versione del governo egiziano. Eppure sono passate solo poche ore da quando Renzi manifestava tutto il suo dolore davanti alle telecamere in Spagna, dove sette studentesse Erasmus italiane sono morte in un incidente stradale.

Dopo quello del governo egiziano, questo è il secondo oltraggio alla morte di Regeni. Non si può non provare vergogna ad essere cittadini di questo paese. Perché se ancora non sappiamo di preciso cosa è accaduto a Giulio Regeni in quegli ultimi, terribili, giorni della sua prigionia, quello che ormai abbiamo capito è che il governo egiziano ha mentito, e continua a mentire, sulla vicenda.

Come interpretare, altrimenti, le affermazioni del procuratore aggiunto di Giza, Hossam Nassar, incaricato delle indagini, sul fatto che Regeni non sarebbe stato torturato? “Sulle unghie e alle lesioni alle orecchie si è creato un equivoco”, ha affermato a Repubblica, “Sono stati i medici legali egiziani ad asportare le une e le altre per poter effettuare esami accurati”. E le sette costole fratturate, allora? E le bruciature?

“Siamo l’Italia e non accetteremo mai una verità di comodo”, aveva affermato nei giorni scorsi Matteo Renzi, esattamente come oggi. “Vogliamo i responsabili veri con nome e cognome perché non è pensabile che resti senza colpevole”. Oggi il governo egiziano fornisce i responsabili, ma la sorella e la moglie di Tarek Abdel Fatah – uno dei predoni che avrebbero ucciso Regeni secondo il governo – hanno già smentito ogni coinvolgimento. E anche il quotidiano egiziano filo-governativo Al Ahram smentisce la notizia, citando una fonte della sicurezza. Ha nulla da commentare su questi colpevoli il nostro governo?

La famiglia di Regeni definisce la versione egiziana come una “Oltraggiosa messa in scensa”, mentre gli inquirenti italiani sollevano forti dubbi: “Non c'è alcun elemento certo che confermi che siano stati loro”. Gli stessi inquirenti che ancora lamentano i ritardi nell’invio di atti e documenti dell’inchiesta dalla controparte egiziana.

Ma l’indignazione cresce anche nella stampa internazionale, e fra i 4.600 accademici che hanno firmato una lettera sul quotidiano The Guardian per chiedere la verità sulla morte di Regeni, e c’è anche la campagna lanciata da Amnesty international: “Verità per Giulio Regeni”.

Sempre in Inghilterra c’è una petizione – creata dalla collega ricercatrice di Giulio, Hannah Waddilove – che ha raccolto già 8.250 firme per chiedere che il governo britannico si occupi delle indagini, dato che Regeni era ricercatore dell’Università di Cambridge. E al raggiungimento delle 10.000 firme, in Inghilterra, il governo è tenuto a dare una risposta alla petizione.

Vorrei firmare quella petizione ma non posso perché non sono un cittadino britannico. Vorrei potermi indignare dall’estero. Ma l’unica cosa che mi è rimasta è la vergogna di vivere in un paese in cui il premier e il governo tacciono di fronte all’oltraggio dell’omicidio di un giovane di 28 anni, e al successivo insabbiamento della verità. Nell’attesa che l’attenzione passi.

Che incredibile mancanza di dignità verso un fatto così grave. Che imperdonabile mancanza di rispetto verso la morte di Giulio Regeni. Ma, d’altra parte, è la stessa mancanza di rispetto che c’è in questo paese per i giovani 365 giorni l’anno. Perché dei problemi di questi ragazzi che sono costretti ad andare dall’altra parte del mondo per cercare le opportunità che in Italia non riescono ad ottenere neanche con enormi sacrifici… ecco, di questo non si parla.

Peggio, se ne parla solo quando questi ragazzi muoiono. Come per le sette ragazze Erasmus morte in Catalogna, per cui addirittura giornali e telegiornali si sono messi a spiegare come funziona il programma Erasmus, che esiste fin dal 1987. O come per Valeria Soresin uccisa dai terroristi al Bataclan di Parigi lo scorso 13 novembre. Come per Giulio Regeni.

Ecco, dei giovani in Italia si parla solo quando muoiono. O meglio, finché fa comodo indignarsi per queste morti, perché se poi anche queste diventano scomode… bocca chiusa e fare finta di niente. E così facendo si manca loro di rispetto per l’ultima volta. Come si è fatto quando erano in vita.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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