“Mi chiamano nera di m…, non merito questo”. Janet ha 20 anni. E noi dovremmo vergognarci
È una giornata qualunque. Janet, 23 anni, nata in Italia da genitori africani, sta uscendo di casa per raggiungere l'università a Parma, dove vive. Mentre chiude la porta e si dirige verso la fermata dell'autobus pensa che anche quella mattina non cambierà nulla. A breve rivedrà i suoi aguzzini, alcuni noti, altri perfetti sconosciuti. E immancabilmente, quando l'autobus starà per arrivare, sentirà le prime voci. "Negra di me..a, perché non torni al tuo paese una volta per tutte?". I primi insulti, a cui effettivamente lei, che a quel tipo di prese in giro è abituata, non dà troppo peso, e continua per la sua strada. Ma loro non mollano.
E mentre attraversa la strada tre ragazzi abbassano il finestrino e rincarano la dose: "Scusa, scusa, tornatene in Africa". E lei, quegli episodi, li porta sempre con sé. "Ricordo tutto benissimo, certe cose sono impossibili da dimenticare, soprattutto alla mia età. Un'auto bianca mi è sfrecciata davanti e un ragazzo dal finestrino ha cominciato a puntare il dito contro di me. Io per un instante ancora non capivo che si stesse riferendo a me. Ero incredula. Non capivo cosa stesse dicendo, forse perché io in Africa non ci sono mai stata, non ho mai messo piede nella terra dei miei genitori. E non merito tutto questo".
Janet è incredula, di fronte all'ennesimo insulto che prova a farle perdere fiducia in un cambiamento di mentalità. "Oggi quei ragazzi che si sono scagliati contro di me mi hanno lasciato senza parole, mi sono sentita smarrita, come se non fossi più io. Non so per quanto tempo vivrò così, per quanto tempo il mio colore della pelle sarà un problema. A volte vorrei essere bianca. Non perché aspiro alla "bellezza occidentale" ma perché in quel modo la gente mi vedrebbe per quello che realmente sono". Ma Janet sa farsi valere. E non è disposta ad arrendersi nella battaglia verso la consapevolezza di una maggiore uguaglianza. "Dopo quell episodio, tremando, ho chiamato il mio ragazzo, gli ho detto quello che era successo. Lui mi ha tranquillizzata, mi ha ricordato chi fossi, e ho capito che quella sbagliata non sono io, ma le loro menti".