Messina Denaro si vantava di non aver mai chiesto il pizzo: lo faceva il suo autista a beneficio del boss
"Estorsioni?". "Non ne faccio di queste cose". Aveva risposto così Matteo Messina Denaro al procuratore di Palermo Maurizio De Lucia durante il primo interrogatorio del 13 febbraio dello scorso anno, circa un mese dopo il suo arresto. Parlerà tre volte il boss di Castelvetrano dal carcere de L'Aquila dove era rinchiuso al 41 bis per scontare condanne all'ergastolo: sempre a febbraio 2023 con il giudice per le indagini preliminari di Palermo Alfredo Montalto e a luglio con i procuratori di Palermo e il colonnello del Ros Lucio Arcidiacono. L'8 agosto del 2023 uscirà invece dal carcere per essere ricoverato in ospedale sempre nel capoluogo abruzzese fino alla sua morte del 25 settembre.
Luppino chiedeva il pizzo per il boss
Ai magistrati Matteo Messina Denaro dopo il suo arresto aveva parlato senza mai però collaborare o pentirsi. Dava sempre e solo la sua versione dei fatti. E nella ricostruzione dei suoi affari ha tenuto a precisare che non c'erano le estorsioni o il pizzo, ovvero la "tassa mafiosa" che i boss chiedono agli imprenditori locali sotto minaccia. "Non ne faccio di queste cose", ripeteva. Nell'interrogatorio del 7 luglio lo ribadiva ancora una volta al procuratore aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo Paolo Guido: "Lei pensa che io uscivo a fare rapine o a chiedere estorsioni? Non ho mai chiesto estorsioni a nessuno". E invece a farle per suo conto erano i suoi fedelissimi.
Lo rivelano gli atti della Procura di Palermo dell'ultima operazione antimafia che ha portato all'arresto oggi 13 febbraio di Antonio Luppino e Vincenzo Luppino, i figli di Giovanni Salvatore Luppino ovvero l'autista di Matteo Messina Denaro anche lui arrestato fuori dalla clinica La Maddalena a Palermo il 16 gennaio del 2023.
Nell'ordinanza di applicazione della misura cautelare firmata dal gip Alfredo Montalto si legge: "Dalle più recenti acquisizioni investigative emergeva che Giovanni Luppino nei mesi immediatamente precedenti la cattura aveva richiesto denaro a imprenditori della zona, a cui aveva espressamente – e minacciosamente – chiesto di contribuire al finanziamento della latitanza del capo mafia".
In un altro passaggio si legge che "gli indagati (ovvero i due fratelli Luppino) incontrano regolarmente il padre e continuano a portare avanti le attività dello stesso nel medesimo settore, quello del commercio delle olive, nel quale vi sono interessi del Messina Denaro e che, peraltro ha visto protagonista il padre medesimo di un tentativo di estorsione per conto di quest'ultimo".
Dall'ultima operazione della Procura e dei carabinieri di Palermo è emerso dunque che i fedelissimi di Messina Denaro erano responsabili di alcune estorsioni sul territorio (almeno) trapanese di cui ne beneficiava il boss di Castelvetrano che anche così si poteva permettere la sua "latitanza d'orata", come l'aveva chiamata a Fanpage.it Rosa Filardo, la cugina di Matteo Messina Denaro che si è allontanata insieme al figlio Giuseppe Cimarosa dal resto della famiglia rinnegando Cosa Nostra.
Come veniva finanziata la latitanza di Matteo Messina Denaro
A spiegare a Fanpage.it come veniva finanziata la latitanza di Messina Denaro è Giuseppe Cimarosa, figlio di Lorenzo Cimarosa ovvero l'unico pentito della famiglia del boss: "Il metodo di recuperare denaro faceva parte del sistema Messina Denaro. Funzionava così. Mio padre quando prendeva un appalto, doveva gonfiare le fatture perché parte del denaro doveva andare alla famiglia Messina Denaro. Era una sorta di pizzo, era del denaro che doveva necessariamente andare alla famiglia. Questo era quello che è accaduto a mio padre e al suo lavoro. Mio padre è stato un imprenditore a Castelvetrano, aggravato anche dal fatto di essere parente perché figlio del marito della cugina del boss".
Questo vuole dire che tutti i membri della famiglia Messina Denaro (parenti di sangue e acquisiti) dovevano versare parte dei loro guadagni a beneficio del boss: i soldi servivano a mantenere la latitanza di Matteo Messina Denaro e a pagare uno "stipendio" al parente più stretto del capo mafioso che si occupava degli affari dell'allora latitante. "Una sorta di pizzo" a cui non ci si poteva opporre. Ora, con l'operazione antimafia del 13 febbraio 2024, è stato scoperto che anche altri imprenditori, non per forza membri della famiglia, erano costretti a fare altrettanto. Sotto minaccia e vittime del metodo mafioso.