Messina Denaro, Nino Di Matteo: “Una vergogna latitanza di 30 anni, troppe anomalie da chiarire”
Dal 16 gennaio Matteo Messina Denaro non è più il super latitante di Cosa Nostra. Da allora si trova in carcere e sta portando avanti le cure. Resta in silenzio, non parla con gli inquirenti. Eppure il boss potrebbe rivelare piani e strategie di Cosa Nostra durante gli anni delle stragi.
Parlerà mai? Ma soprattutto Cosa Nostra dopo l'arresto del suo boss si è definitivamente indebolita? A Fanpage.it ne parla Nino Di Matteo, membro del Consiglio Superiore della Magistratura e già sostituto procuratore a Palermo e Caltanissetta. Nonché uno dei pm nel processo sulla Trattativa Stato-mafia.
Cosa accadrà ora in Cosa Nostra dopo la cattura di Matteo Messina Denaro?
Sicuramente il 16 gennaio resterà una data importante. Quello che succederà adesso non è prevedibile. Saranno soltanto le indagini sul territorio condotte in maniera approfondita a svelare quello che accadrà e come si evolverà la questione mafiosa in generale.
Con questo arresto Cosa Nostra è stata sconfitta?
Credo che vanno evitate visioni troppo ottimistiche. Già gli anni passati ci hanno dimostrato che dopo gli arresti dei boss, Cosa Nostra purtroppo ha sempre reagito: è stata in grado di cambiare i propri vertici e di cambiare le dinamiche interne ed esterne. Per cui credo che la previsione di Giovanni Falcone sulla fine del fenomeno mafioso sia ancora lontana da realizzarsi.
Oggi la ricchezza di Cosa Nostra si basa sulla capacità di confondere l'economia legale con quella illegale. La mafia si sa mimetizzare. Per cui diventa sempre più difficile distinguere il potere mafioso dagli altri poteri economici e finanziari. Con questo voglio dire che è sbagliato pensare che Cosa Nostra sia morta o che dopo l'arresto di Matteo Messina Denaro sia sconfitta.
Che cosa manca per sconfiggere definitivamente la mafia?
Penso che si continueranno a vincere molte battaglie, ma la guerra sarà completamente vinta se si realizzano tre condizioni. La prima: mantenere la legislazione speciale che è stata adottata dopo le stragi. La seconda: la guerra sarà vinta quando la politica si renderà conto che la mafia minaccia la democrazia, quindi la lotta alla criminalità organizzata dovrebbe essere ai primi posti dell'agenda di qualsiasi governo, qualsiasi colore sia. La terza: è necessario un cambiamento culturale.
Come è possibile che la latitanza di Matteo Messina Denaro sia avvenuta alla luce del sole? A proteggerlo erano anche uomini fuori da Cosa Nostra?
Non voglio fare ipotesi, è giusto che siano le indagini a svelare tutto. Però c'è una considerazione generica: è vergognoso che un latitante rimanga tale per trent'anni. Ci sono delle anomalie che devono essere chiarite soprattutto sull'ultimo periodo di latitanza.
Matteo Messina Denaro è stato arrestato a casa sua. Il boss ha adottato negli ultimi anni dei comportamenti inspiegabili nell'ottica di un latitante che vuole a tutti i costi sottrarsi alla cattura: ha usato i documenti di un suo fedelissimo che viveva vicino a lui, ha frequentato concessionari, ristoranti e cliniche private senza farsi alcun problema, ha scambiato numeri di telefono con altre persone. Si è fatto scattare foto. Sono comportamenti sorprendenti sul quale bisogna fare luce.
Come si spiegano questi comportamenti?
Bisognerà capire se Matteo Messina Denaro si esponeva perché era sicuro della rete di protezione che si era costruito attorno alla sua latitanza oppure se nel tempo si era rassegnato al rischio di un possibile arresto. Credo sia importante approfondire tutti questi aspetti.
Come risponde a chi pensa ci possa essere una trattativa Stato-mafia dietro all'arresto di Matteo Messina Denaro?
Bisognerà attendere gli esiti delle indagini. Sarà il lavoro della Procura a fare luce su tutti i dubbi, esattamente come è successo in passato sui casi della mancata perquisizione del covo di Totò Riina subito dopo il suo arresto o della latitanza di Bernardo Provenzano. In un primo momento si è pensato fossero il frutto di fantasie.
Oggi a distanza di tanti anni, riguardo questi due casi, sappiamo che la sentenza d'Appello della Trattativa Stato-mafia ha assolto alcuni esponenti dello Stato, ma ha anche definito la mancata perquisizione del covo di Riina un segnale di distensione da parte delle istituzioni verso l'ala cosiddetta trattativistica di Cosa Nostra, ovvero quella di Provenzano. Così come la sentenza sulla Trattativa ha dimostrato che la latitanza di Provenzano è stata protetta anche da alcuni esponenti delle forze dell'ordine: in quel periodo storico si è ritenuto più utile lasciare Provenzano libero che portarlo in carcere. Perché Provenzano rappresentava una garanzia contro il prevalere dell'ala stragista di Cosa Nostra.
Il passato ci insegna a essere più cauti nel dare giudizi affrettati. L'unica cosa che la magistratura deve fare ora è cercare di approfondire tutto. Anche le evidenti anomalie della latitanza di Matteo Messina Denaro.
Se Matteo Messina Denaro decidesse di collaborare cosa potrebbe svelare? Quali sono ancora le incognite nella storia di Cosa Nostra?
Matteo Messina Denaro è stato un esponente nevralgico della strategia di Cosa Nostra sia nel periodo stragista sia in quello successivo: il boss ha individuato i bersagli e i luoghi da colpire durante le stragi del '93. Potrebbe dunque rivelare come mai dopo il fallito attentato all'Olimpico a Roma nel gennaio del '94, che allora non era stato scoperto dalle forze dell'ordine e quindi poteva essere ripetuto nelle domeniche successive, non ci furono altri tentativi.
E ancora: Matteo Messina Denaro era stato incaricato nella primavera del '92 di pedinare il giudice Giovanni Falcone a Roma. Il piano iniziale era quello di ucciderlo a colpi di pistola nella Capitale. Sarebbe stato molto più facile, invece Messina Denaro fu richiamato da Riina a Palermo. Lui potrebbe sapere il perché di questo cambiamento improvviso di piano.
Collaborerà mai?
Nessuno, tanto meno noi magistrati, possiamo fare previsioni sulla sua volontà di collaborare. Queste sono scelte che dipendono da ragioni strettamente personali. Noi possiamo limitarci a dire che se ci fosse una collaborazione e fosse completa sarebbe molto importante nel contrasto alle mafie.
Se Matteo Messina Denaro decidesse di collaborare, uscirebbe dal carcere?
Ci sono delle leggi chiare a riguardo. Bisogna tenere presente che la legge 45 del 2001 ha alzato paletti in fatto di concessioni per i collaboratori di giustizia a uscire dal carcere. Eventuali premi sono possibili solo molti anni dopo l'inizio della collaborazione e sono difficili per chi è condannato all'ergastolo.
Questo arresto può avere delle conseguenze sul fronte ergastolo ostativo e 41bis?
Nella vita di un mafioso la detenzione temporanea è quasi considerata una parentesi normale. Non incide sul prestigio del detenuto all'interno di Cosa Nostra, anzi a volte lo rafforza. Quello che i mafiosi non accettano è l'ergastolo, soprattutto quando viene applicato anche il 41 bis.
I vertici di Cosa Nostra hanno sempre agito affinché venisse eliminato l'ergastolo e il 41 bis. Per conseguire questi obiettivi sono state adottate strategie diverse. Vedremo quello che succederà. La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 2019 e quella della Corte Costituzionale del 2021 hanno aperto dei varchi per l'eliminazione dell'ergastolo ostativo. Il decreto del nuovo governo invece va a mio avviso nella direzione giusta: cerca di arginare le conseguenze di queste sentenze. Le speranze però dei vertici della mafia sono ancora attuali.
A oggi esiste ancora un rapporto tra Stato e mafia?
Cosa Nostra rispetto a tutte le altre organizzazioni criminali mondiali ha avuto sempre una peculiarità: è nel dna della mafia cercare di avere un rapporto con lo Stato. Non è un caso che Cosa Nostra sia l'unica organizzazione criminale che nel tempo ha ucciso esponenti della forze dell'ordine, magistrati, politici, sacerdoti e giornalisti. L'unica che ha avuto la capacità di infiltrarsi nella politica anche a livello nazionale, tentando di convivere con il potere ufficiale e di esercitare un potere parallelo a quello istituzionale. Non credo che il dna di Cosa Nostra sia cambiato, mi auguro che sia cambiato l'atteggiamento delle istituzioni nei confronti della mafia.
Che ruolo hanno le intercettazioni nelle indagini?
Le intercettazioni sono e devono restare uno strumento fondamentale, non solo per il contrasto alle mafie ma anche per il contrasto alla criminalità comune e alla criminalità dei cosiddetti colletti bianchi.
Non è vero che in Italia il numero delle intercettazioni è superiore a quello di altri Paesi. Intanto in Italia le intercettazioni vengono autorizzate da un giudice. Chi dice che sono troppe dimentica che in altri sistemi, come quello inglese o statunitense, i servizi di sicurezza possono invece intercettare chi vogliono e quando vogliono senza alcuna autorizzazione del giudice. Si dovrebbe ricordare quanta ricchezza illecita è stata sequestrata grazie alle intercettazioni, quanti omicidi sono stati evitati.
Oggi, sulla base anche di quanto sostiene il ministro della Giustizia Carlo Nordio, sento parlare di "distinzione tra intercettazioni utilizzate per contrastare i reati di mafia e quelle per i reati comuni". E nel secondo caso "le intercettazioni sarebbero da evitare".
Per me non ci dovrebbe essere nessuna distinzione, perché gravi crimini della criminalità organizzata sono stati scoperti grazie alle intercettazioni su casi di reati cosiddetti comuni. Durante le indagini per esempio su casi di bancarotta fraudolenta o rapine sono stati appresi elementi importanti nel contrasto alle mafie. Distinguere ed eliminare parte di queste intercettazioni è rischioso.