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Pubblichiamo di seguito la lunga lettera che ci ha scritto una ragazza siciliana che vive a Torino a proposito della sua esperienza nel mondo del lavoro, dove è precaria da 6 anni nella scuola secondaria di secondo grado: "Per poter lavorare mi sono dovuta trasferire a quasi 1500 km di distanza da casa. Perché lavorare a casa, nella propria terra è anche questa pura utopia".
La lettera a Fanpage.it
Sono un'architetta e docente precaria di sostegno da sei anni nella scuola secondaria di secondo grado. Durante questi anni, ho partecipato a due concorsi per materia nel 2020, entrambi caratterizzati da prove assurde e puramente nozionistiche, che nulla avevano a che fare con l'insegnamento reale o con ciò che avrei dovuto trasmettere ai miei studenti. Eppure, eccomi di nuovo a prepararmi per l'ennesima prova concorsuale su materia di quest'anno, in un sistema che sembra ideato per frustrarci e non per valorizzarci.
Non ho potuto partecipare al concorso per docente di sostegno perché la condizione per poter accedere è avere la specializzazione che io ho seguito solo quest’anno.
In questi anni ho investito tempo e denaro per la mia formazione, spesso senza reali vantaggi. Ecco cosa ho conseguito in ordine:
– i famosi 24 CFU, che mi sono costati 500 euro e ormai non servono a nulla;
– un master di II livello al Politecnico di Torino, per accrescere la mia formazione anche dal punto di vista tecnico specialistico (ma il MIM mi riconosce solo 1 credito nelle GPS);
– corsi di informatica, totalmente inutili;
– il famigerato corso di specializzazione per il sostegno, che ho sempre considerato un ricatto. "Paghi e ti faccio lavorare". Ma dopo aver visto persone senza alcuna esperienza ottenere il ruolo, mi sono sentita quest’anno costretta a cedere. Ho speso 3400 euro (+ spese); l'ho frequentato a Roma, tutti i weekend, pur lavorando a Torino, perché a Torino ottenere un posto è quasi impossibile per i pochi posti messi a bando, e specialmente se, come me, lavori già e non puoi permetterti di dedicare tutte le tue energie per studiare e partecipare a un concorso per una professione che già svolgi, e di cui lo Stato ha disperato bisogno. Ironico, vero?
Quel corso mi ha tolto un anno di vita: weekend sacrificati, zero tempo per famiglia o amici, perché se fai delle assenza, sei fuori. Poi scopri che alcune università estere offrono lo stesso corso, senza tutte le complicazioni burocratiche. Paghi un po’ di più e puoi seguirlo comodamente da casa, senza concorsi. E per le graduatorie? Chi ha il titolo estero viene inserito a pettine, con le stesse opportunità di chi, come me, ha dovuto affrontare un percorso molto più difficile in Italia.
Ma attenzione: anche dopo aver ottenuto questo “grande traguardo”, non basta. Il Ministero dell’Istruzione e del MERITO (scriverlo in maiuscolo è ormai un obbligo) ti dice che devi fare un altro corso, quello abilitante, al modico costo (minimo) di 2000 euro. E se sei fortunato, in tempo per l’aggiornamento, ti becchi 36 punti GPS, superando chi magari ha anni di servizio ma non riesce a sostenere queste spese folli. Perché 36 punti equivalgono a ben 3 anni di servizio.
Così stringo i denti e mi iscrivo all’ennesimo corso, perché voglio rimanere al passo. E nonostante tutti i sacrifici, per il sesto anno sono ancora una precaria, senza alcuna certezza di stabilizzazione. Continuo a farlo perché amo il mio lavoro, ma è difficile non demoralizzarsi e perdere le speranze. Almeno quest’anno, sono stata graziata dall'algoritmo rispetto ad altri miei colleghi e mie colleghe, e potrò seguire gli studenti e le studentesse che seguo e conosco da quattro anni e portarli alla Maturità… perché anche la continuità è un miraggio. Ah sì, la continuità per un insegnante di sostegno, secondo il ministro Valditara, può essere "garantita" dalla famiglia dello studente, per tutelarlo (e su questo nulla da obiettare), attraverso una lettera da inviare alla dirigenza scolastica, ignorando completamente e sminuendo la professionalità e il merito del docente, lasciandolo alla mercé dei genitori.
Meritocrazia e pari diritti sono un’utopia nel mondo della scuola; se sei fortunato/a e capiti nella tornata giusta… allora ti va bene… ma se sei sfortunata/o rischi di rimanere nel “girone” dei precari per anni. E se la vita di un docente deve essere legata a un colpo di fortuna, e non al suo merito, non so quanto ne valga davvero la pena lottare e resistere, perché di resistenza ormai si tratta. E assicuro che nonostante tutto questo, noi docenti precari, che abbiamo davvero voglia di lavorare e spenderci, entriamo in classe sempre con un sorriso e con la voglia di fare per i nostri studenti e le nostre studentesse.