Melania Rea un anno dopo, un delitto senza colpevoli
È trascorso esattamente un anno dalla morte di Carmela Rea, conosciuta da tutti come Melania, la giovane mamma non ancora trentenne originaria di Somma Vesuviana, in Campania. Un anno fa, il 18 aprile del 2011, gli eventi avrebbero distrutto una famiglia, quella di Melania, un marito, il caporalmaggiore Salvatore Parolisi e la loro bambina Vittoria, che oggi, 2 anni e mezzo, è stata affidata ai nonni materni, va all’asilo ed è costantemente seguita dagli psicologi. Dopo un anno, le indagini compiute e il processo in corso, ancora non si è giunti alla verità su Melania Rea, ancora non conosciamo il nome del suo assassino. Ripercorriamo le tappe principali di questo delitto.
La scomparsa e la morte nel bosco di Ripe di Civitella (Teramo) – Melania Rea, dal suo paese originario si era trasferita a Folignano, piccolo centro vicino Ascoli Piceno, per seguire il marito Salvatore Parolisi, caporalmaggiore dell’Esercito e istruttore alla caserma femminile Clementi del 235° Reggimento Piceno. La cronaca ci racconta che quel giorno i tre, Melania, Salvatore e la piccola Vittoria, si erano recati per una giornata di relax a Colle San Marco, quel giorno Melania scomparve quando, nel racconto del marito, si era allontanata per cercare una toilette. Fu ritrovata due giorni dopo, morta, a Ripe di Civitella: il suo cadavere fu rinvenuto da un uomo che, senza rivelare la sua identità, chiamò da una cabina telefonica per dare l’allarme. Iniziarono le indagini e inizialmente si ritenne che il delitto fosse stato compiuto a Colle San Marco e che il corpo fosse stato poi trasportato e abbandonato nella vicina Ripe.
Le verità accertate dall’autopsia – Tempo dopo, il 14 luglio, il medico legale depositò la relazione sull’autopsia fatta sul cadavere che chiarì, soprattutto grazie all’analisi dei liquidi intestinali presenti nel suo corpo, l’ora del delitto e il luogo: Melania fu uccisa con 35 brutali coltellate, colpita da armi che non sono state più ritrovate e morta per anemia emorragica acuta. Nessuno dei colpi inferti sul suo corpo l’avevano infatti uccisa (il suo corpo sarebbe stato colpito anche post mortem, forse l’obiettivo dell’assassino era quello di depistare le indagini). L’autopsia sembrò confermare l’ipotesi della tecnica militare “assalto alla sentinella”: l’omicida l’ha aggredita alle spalle, cercando di colpirla con un coltello alla gola per scannarla. Nella fuga dal suo killer Melania è caduta a terra, in quel momento l’assassino ha potuto aggredirla e infierire su di lei.
Salvatore Parolisi resta l’unico imputato – Nessuno inizialmente voleva credere al coinvolgimento del caporalmaggiore Parolisi, nessuno, compresa la famiglia di Melania, immaginava “il grande amore” della donna capace di un gesto simile eppure la procura di Ascoli, negli stessi giorni dei risultati dell’autopsia, decise di arrestare l’uomo, tuttora in carcere. Sul conto di Parolisi, nel corso di questo anno, è stato detto tanto, forse troppo, “elementi” che pesano come macigni e condizionano l’opinione pubblica. Si è venuto a sapere delle storie extraconiugali di Salvatore, della ex allieva soldatessa, la sua amante da anni per la quale forse avrebbe deciso di lasciare Melania. Gli inquirenti hanno spulciato tra le lettere, i messaggi, le conversazioni in rete di Parolisi: il risultato è, se non una prova di colpevolezza, indizi che descrivono un uomo che sicuramente aveva una doppia vita, una storia con l'altra ma forse anche altre, di minore importanza. “È come se Melania fosse morta un’altra volta”, i familiari della donna nel giorno dell’arresto di quell’uomo che lei tanto amava e che, secondo l’accusa, ha deciso dunque di mettere fine alla sua vita. Salvatore Parolisi è nel carcere di Teramo accusato di omicidio volontario pluriaggravato dalla parentela e da vilipendio di cadavere, da sempre si dichiara innocente e completamente estraneo al delitto. Per i suoi avvocati l’assassinio di Melania è ancora a piede libero.
Le fasi del processo – I difensori di Salvatore Parolisi hanno ottenuto il rito abbreviato, condizionato a una nuova perizia medico legale che, in caso di condanna dell’unico imputato, gli risparmierà l’ergastolo. Il processo è iniziato lo scorso 30 marzo, giorno nel quale c’è stata una udienza per l’affidamento degli incarichi ai periti. Nel corso della lunga udienza il gup di Teramo, Marina Tommolini, ha disposto un accertamento che coinvolge altri uomini, alcuni operai macedoni che, all’epoca del delitto, lavoravano in un cantiere nei pressi di Ripe. Agli operai, che si sono resi immediatamente disponibili, è stato effettuato il prelievo della saliva che servirà ad individuare altre tracce di Dna eventualmente presenti sul corpo di Melania Rea e che andranno ad aggiungersi a quello del marito (la “famosa” traccia di Dna rinvenuta sulla bocca di Melania è infatti quella di Salvatore, forse un ultimo bacio alla donna che avrebbe assassinato). Le prossime tappe del processo sono state fissate per il 30 maggio e per il 13 luglio.
Un anno dopo il ricordo di Somma Vesuviana – “Per non dimenticare”, questo lo slogan della gente di Somma Vesuviana pronta a ricordare, a un anno dalla morte, Carmela Melania Rea. Ricordare Melania mettendo per un giorno da parte le accuse, attraverso una fiaccolata e una messa ma anche, secondo quanto ha spiegato il fratello di Melania, Michele, con la nascita di una onlus che porterà il suo nome per dire “no alla violenza sulle donne, sì ai diritti dei minori, no agli assassini liberi e sì alla certezza della pena”. Perché storie come quella di Melania Rea, nelle parole della sua famiglia, non devono accadere più, a nessuno. Quello che oggi prova la sua famiglia che presto sarà costretta a raccontare “una storia bruttissima” alla piccola Vittoria è soprattutto un senso di impotenza “per non essere riusciti ad evitare tutto quello che è successo, per non aver capito in tempo, per non essere riusciti a fare in modo che Melania fosse ancora viva”. Una sensazione che non dà tregua, alla famiglia di Melania Rea, neanche per un secondo.