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Catania: Scaravilli, il medico ostaggio dell’Isis per 5 mesi, muore travolto da un’onda

Si chiamava Ignazio Scaravilli, il medico siciliano rapito dall’Isis e poi liberato dopo lunghi mesi di prigionia: oggi è morto travolto da un’onda a Catania.
A cura di Fabio Giuffrida
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ignazio scaravilli

E' morto Ignazio Scaravilli, il medico ortopedico che era stato rapito dall'Isis e che era stato rilasciato dopo cinque mesi di prigionia. E' morto travolto da un'onda mentre si trovava sugli scogli del porticciolo di San Giovanni Li Cuti, nel catanese. Ho avuto modo di conoscerlo, mi ha ricevuto nel suo studio a Catania, a pochi passi dalla centralissima via Etnea. In quell'occasione abbiamo parlato a lungo del suo rapimento. Ero la prima persona con cui aveva deciso di raccontarsi, privatamente, dopo quei mesi terribili. Aveva deciso di non parlare, e mi aveva chiesto di farlo anche a me, per rispetto della Farnesina che, in quelle settimane, stava lavorando per liberare altri ostaggi. Un'intervista, in quel periodo, che avrebbe rovinato gli sforzi delle autorità italiane.

Era sopravvissuto all'Isis

Ignazio era un medico che amava il suo lavoro, che era partito, poco prima del Natale, in compagnia di altri colleghi siciliani, in qualità di volontario in un ospedale di Dar Al Wafa, nella zona di Suq Talat. Era stato sequestrato – per cinque lunghi mesi – da un gruppo di jihadisti legati ad Ansar-al-Sharia ed era stato liberato con il concorso delle autorità di Tripoli. A segnalare la sua improvvisa scomparsa, il 22 gennaio, erano stati alcuni colleghi che non l'avevano più visto rientrare in ospedale. La sua lunga prigionia, infatti, durerà fino al 9 giugno.

In prigione per cinque mesi

Ignazio – mi aveva confessato – di voler scrivere un libro, forse per raccontare ciò che gli era successo. Era andato lì, in Libia, per lavorare e, invece, si era trovato nelle mani di criminali. O meglio, in quella casa, dove era stato portato, abitavano persino delle donne e alcuni bambini. Lui era uno che riusciva ad "adattarsi", che è sopravvissuto, per i cinque lunghi mesi di prigionia, solo perché aveva stretto un contatto, un dialogo, con i suoi rapitori. Ha fatto tutto il possibile. Non è mai stato scortese , ha cercato di non scontrarsi con loro, di non alzare i toni. Nessun clima di sfida ma tanto sangue freddo. Lo sapeva che, altrimenti, avrebbe perso la vita. Erano uomini senza scrupoli. Una volta, mi raccontò, gli fu puntata una pistola alla tempia. Il motivo? Si era avvicinato ad una finestra. Quei giorni, in quella piccola stanza, furono terribili. Gli mostravano continuamente video di sgozzamenti e lo costringevano a stare al buio. Unica nota positiva, mi disse, è che non venne mai picchiato.

Fu rapito con violenza. Ebbe molta paura in quegli attimi. Una volta arrivato nella sua "prigione", venne sorvegliato h24 da un uomo che, durante la notte, giocava al pc. Ignazio, invece, non sapeva come trascorrere le sue giornate. Non distingueva più il giorno dalla notte. Era senza cellulare e non parlava la stessa lingua dei suoi rapitori. Non capiva perché si trovasse lì, che cosa volessero da lui. Gli dicevano di parlare piano perché i droni avrebbero potuto intercettare le sue parole. E in quella stanza, oltre alla pistola, c'erano anche delle catene.

Minacciato con una pistola

A mancargli, oltre ai suoi familiari, fu anche il cibo, mi disse col sorriso sulle labbra. Era una casa sporca, c'era puzza e si mangiava male. Però, doveva nutrirsi, non poteva di certo morire di fame. Lui che cercava di "minimizzare" tutto durante il nostro colloquio, che provava a tranquillizzare la moglie. La loro era una coppia modello, lei aveva vissuto mesi di inferno, aveva temuto per la sua vita. Non voleva, infatti, che il marito partisse ancora una volta per la Libia. Ignazio era tornato più forte di prima, pronto a ricominciare, desideroso di raccontare la sua storia ma, in quel momento, non poteva. Non doveva.

E, invece, Ignazio è morto travolto da una maledetta onda. Inutili i soccorsi.

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