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Matteo Messina Denaro

Matteo Messina Denaro ancora assente al processo stragi ’92. L’avvocato: “Non è il mandante”

Adriana Vella, avvocato d’ufficio dell’ex latitante Matteo Messina Denaro, sostiene che per essere mandante il boss doveva essere capo provincia o reggente. Cariche che non ha mai ricoperto. In corso il processo a Caltanissetta per le stragi di Capaci e via D’Amelio.
A cura di Roberto Marrone
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L'avvocata Adriana Vella durante l'arringa difensiva
L'avvocata Adriana Vella durante l'arringa difensiva
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"Non mi spaventa difendere Matteo Messina Denaro, per me è un imputato come tutti gli altri. Sono tranquilla", erano state queste le prime parole di Adriana Vella ai microfoni di Fanpage.it lo scorso 23 marzo, alla fine dell’udienza dove era stata nominata avvocato d'ufficio del super boss.

Questa mattina, giovedì 25 maggio, dopo che la stessa Vella aveva chiesto un termine a difesa per lo studio dei tanti e complessi atti processuali, la Corte d'Assise d'appello si è tornata a riunire nell'aula bunker di Caltanissetta per il processo sulle stragi di Capaci e Via D'Amelio che vede imputato lo stesso Matteo Messina Denaro, arrestato lo scorso 16 gennaio dopo 30 anni di latitanza e già condannato all'ergastolo in primo grado.

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Anche oggi l'ex latitante ha deciso di non comparire davanti alla presidente della Corte Maria Carmela Giannazzo non partecipando così al video collegamento dal carcere dell'Aquila. Quello di Caltanissetta è soltanto uno dei numerosi processi per le stragi.

Un processo importante, dove l'avvocata d'ufficio Adriana Vella ha dovuto tenere la sua arringa difensiva, che ha aperto con queste parole: “La casuale designazione come difensore d'ufficio fa di me la massima espressione del diritto di difesa che lo Stato italiano garantisce a tutti indifferentemente a chi è incensurato o a chi possiede un casellario giudiziario ben nutrito".

Arresto Messina Denaro
Arresto Messina Denaro

L'avvocata poi ha impiantato tutta la difesa su un unico punto ovvero quello che, secondo il regolamento mafioso, per essere mandante di una strage, ovvero il reato di cui è accusato Matteo Messina Denaro, bisogna essere capomandamento di provincia o sostituto del capo, cariche che secondo la Vella l'imputato non ha mai ricoperto se non dopo le suddette stragi.

Totò Riina in provincia di Trapani, infatti, avrebbe sempre avuto come riferimento Francesco Messina Denaro, padre dell'imputato, e come sostituto l'amico intimo e fidato Mariano Agate che successivamente alla malattia di Francesco Messina Denaro ne prenderà la reggenza.

Come evidenzia Vella nella sua arringa, “non ci sono collaboratori di giustizia, vedi Brusca ed altri, che parlano di corregenza di Agate e Messina Denaro figlio smentendo così la sentenza impugnata”.

Tra gli elementi presi in considerazione dall'avvocata Vella anche la testimonianza del mafioso Geraci che nel periodo delle stragi del '92 ha accompagnato l'amico Francesco Messina Denaro al Policlinico di Palermo a testimonianza che stava male ma era ancora autonomo in tutte le sua attività tanto da partecipare anche a svariate riunioni.

“Per questo – dice l'avvocata – non può essere che Messina Denaro figlio sia stato mandante delle stragi sorpassando così il padre e chi stava al di sopra di lui. Inoltre, come si evince dagli atti processuali, l'unica reggenza che avrebbe potuto assumere Messina Denaro figlio prima delle stragi è solo quella del mandamento di Castelvetrano e non della provincia di Trapani”.

Un'arringa molto articolata quella della Vella che è durata più di due ore facendo riferimento a numerosi dettagli in merito alle stesse stragi e a numerosi atti e sentenze di mafia. Vella ha alla fine chiesto l'assoluzione per l'imputato.

Al termine dell'udienza la Corte ha deciso che si riunirà il prossimo 19 luglio per la sentenza.

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