Matteo, disabile al 100%: “Lo Stato mi ha abbandonato, mio papà è da solo, non ce la fa più”
“Mi sento abbandonato dalle istituzioni. Se non avessi portato avanti questa battaglia Matteo sarebbe capitolato e il sottoscritto sarebbe rimasto senza un figlio”. È arrabbiato, deluso ma non per questo ha intenzione di arrendersi Fabrizio Benassi, da Sassuolo, vicino Modena. Suo figlio Matteo, che oggi ha 21 anni, è nato con un disturbo bio-psico-sociale. Un ritardo cognitivo disomogeneo che tradotto vuol dire che Matteo per alcuni aspetti è come un bambino. “Ha una socialità di tre anni e sei mesi e una manualità di otto anni e sei mesi” spiega suo padre, divorziato, con un’altra figlia piccola di 11 anni e rimasto senza lavoro pur di garantire la massima assistenza a Matteo.
Quando era ancora un bambino, i medici erano inizialmente convinti che Matteo fosse soltanto dislessico. Poi si è parlato di altri problemi, legati anche ai contrasti fra i genitori in fase di separazione, e solo nel 2013 è venuta a galla la verità. Merito anche di suo padre che ha sempre voluto vederci chiaro.
Nel corso degli anni, però, si sono susseguite numerose diagnosi, terapie e inserimenti in strutture non adatte ai veri problemi del ragazzo, che da diciassettenne ha dovuto anche vivere l’incubo del Tso, trattamento sanitario obbligatorio. “Se lo sogna ancora la notte” ricorda suo padre. “Mi hanno preso in sette per la braccia, manco fossi un animale” racconta invece Matteo.
Fabrizio, che nel frattempo ha chiesto una mano ad istituzioni locali, nazionali ed europee, oltre che ad associazioni e imprenditori importanti (“Anche perché portare avanti la causa ha un costo difficile da sostenere” confida) chiede soltanto che a suo figlio venga finalmente assegnato un progetto globale di presa in carico, affinché possa migliorare le proprie condizioni. “Se seguito da diversi professionisti può avere una vita qualitativamente buona, migliorando le sue competenze” dice. E lo confermano anche alcune consulenze specialistiche.
Matteo, infatti, oggi è inserito in una struttura semiresidenziale dove però ci sono persone con disabilità più gravi della sua e “qui non ha un educatore personale”, sottolinea suo padre. “Abbiamo anche assistenza domiciliare per otto ore a settimana” continua. Ma questo non basta. Per legge, Matteo dovrebbe avere un progetto di presa in carico diverso, specifico per il suo caso. Ed è proprio questo che chiede suo padre, che da solo, ormai, non ce la fa più.
“Non so come, ma la nostra storia è arrivata anche sulla scrivania del ministro Fontana –dice ancora Fabrizio-. Matteo oggi ha un invalidità del 100%, con indennità di accompagnamento che ci è stata data solo ad agosto 2018, con revisione ad agosto 2019”. La paura è che tra qualche mese ci si ritrovi a dover affrontare nuovamente mille peripezie. “Ho sempre attivato la neuropsichiatria infantile-adolescenziale e i servizi sociali, che si sono rimpallati la cosa –aggiunge Fabrizio-. Mi è stato anche detto di lasciarlo in una struttura psichiatrica, ma come si fa ad abbandonare un figlio?”
La decisione sul progetto di presa in carico di Matteo spetta al distretto sanitario della loro zona, insieme all’amministrazione locale. “Il Ministero della Salute ha fatto due istanze per l’adozione del progetto individuale, cosa che non hanno mai fatto: dicevano sempre che era tutto sotto controllo” conclude Fabrizio, che nei giorni scorsi ha avuto l’ultimo incontro con chi deve firmare un atto che da anni lui e suo figlio stanno aspettando. Sperando che sia finalmente la volta buona.