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Maslax aveva 19 anni, sopravvissuto alle guerre, ma non al nostro cinismo

Maslax aveva 19 anni e scappava dalla Somalia. Era approdato in Italia fino a raggiungere il Belgio dove era stato identificato e (per gli assurdi accordi di Dublino) rispedito in un centro d’accoglienza a Pomezia. Lì gli si è spenta la speranza e ieri si è suicidato. O forse è stato suicidato un po’ anche da noi, dall’indifferenza e dall’assurdità delle regole.
A cura di Giulio Cavalli
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Noi che continuiamo a suicidare ragazzi come Maslax. Lui, Maslax, aveva 19 anni. Fino a ieri. Veniva dalla Somalia ed era arrivato in Italia con il fiatone di chi scappa dal proprio Paese in guerra, senza voltarsi, sperando solo di non sentire più intorno l'odore della guerra e della disperazione, considerando approdo ogni altro posto che non abbia i colori disperati di casa. Maslax però si è sbagliato, anche lui, e ha creduto davvero che l'Europa e i lacci delle sue regole potessero essere un porto sicuro. Si è sbagliato, anche lui, e aveva 19 anni fino a ieri. Perché ieri si è suicidato. O è stato suicidato dalle regole, forse. O dal nostro cinismo.

Maslax era stato a Roma, in via Cupa, dentro quell'abbraccio umano che si chiama Baobab: un'isola di resistenza alla disumanizzazione nel centro della città che le autorità ostinatamente continuano a voler sgomberare come ci si affanna a nascondere gli indizi delle nostre vergogne. E anche Maslax aveva subito le irruzioni, gli sgomberi e le identificazioni. Non ci sono nemmeno più le parole per scrivere quanto sia patetico un Paese terrorizzato dai fragili. Non ne vengono più, di parole. Maslax però era riuscito a ripartire come tanti altri (perché no, non "vengono tutti qui" ma devono "passare" da qui) ed era arrivato in Belgio. Alcuni volontari del Baobab raccontano di essere rimasti in contatto con lui. Quando è stato identificato e rispedito in Italia (per gli assurdi accordi di Dublino) era stato rinchiuso in un centro di accoglienza a Pomezia dove il tempo sembrava non passare più e la luce di un futuro si faceva man mano più flebile. "Slow life, sister", scriveva nelle sue lettere, come raccontato i volontari del Baobab sulla loro pagina facebook. "Qui il tempo non passa più".

I centri di accoglienza sono buchi. Buchi senza assistenza, senza mediatori, senza strutture. Parcheggi, recinti, pascoli di uomini. "Ciò che conta è avere sempre qualcosa da attendere" scrive Didier van Cauwelaert e forse Maslax ha temuto di non avere più nulla da aspettare e così per lui s'è fatto buio. L'hanno trovato impiccato. Finito. Suicidato, scriveranno nelle fredde statistiche che alla fine dell'anno servono per aizzare i fronti che fingono di combattersi sulla pelle di ragazzi come lui. La notizia, vedrete, rimarrà nascosta e incommentata. L'indifferenza del dramma è stata scelta dai più come soluzione quindi di Maslax è meglio non parlare. Anche perché si è suicidato, in fondo. E forse un po' l'abbiamo suicidato anche noi.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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