“Martina Rossi non stava scappando da uno stupro”: perché i due ragazzi imputati sono stati assolti
"L'esclusione a cui la Corte è pervenuta del tentativo di fuga della ragazza e la non provata commissione" della tentata violenza "non possono dunque che portare a ritenere carente la prova" del reato. Così si legge nella motivazione della sentenza che il 9 giugno scorso ha assolto Luca Vanneschi e Alessandro Albertini, condannati in primo grado a sei anni di reclusione, per la morte di Martina Rossi, la ventenne genovese, studentessa di Architettura a Milano, deceduta il 3 agosto 2011 precipitando dal balcone del quinto piano di un albergo di Maiorca, l'hotel Santa Ana di Cala Mayor.
Per l'accusa Martina era caduta dal terrazzo mentre cercava di sfuggire a un tentativo di stupro di cui sarebbero stati responsabili i due imputati. Ma per i giudici della Corte d’Appello la giovane non stava fuggendo da una possibile violenza anche se "un'aggressione sessuale" potrebbe "esserci stata in precedenza". Ad ogni modo la caduta della ragazza con le modalità emerse è elemento non coerente con tale ipotesi", è "dissonante", non "si salda logicamente con essa".
Inoltre l'ipotesi del tentativo di stupro si fonda, per la corte, soltanto su due elementi: il fatto che Martina fosse in mutandine quando è precipitata e che Albertoni avrebbe avuto graffi sul collo. Due elementi "troppo poco significativi" perchè "possa da essi soltanto desumersi una condotta diretta al compimento di una violenza sessuale". Per i giudici d'appello poi quanto accaduto a Martina è stato oggetto di un'indagine "sorta e conclusa in Spagna, ripresa e sviluppata a Genova e nuovamente sviluppata e conclusa ad Arezzo, con esiti di volta in volta quanto più contradditori tra loro, pur se in base, in sostanza, alle medesime risultanze, ciò che vale indirettamente a confermare la scarsa e quindi opinabile valenza indiziaria, per la loro incoerenza , degli elementi acquisiti".