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News sull'omicidio di Elena Del Pozzo a Catania

Martina Patti condannata a 30 anni per il delitto della piccola Elena del Pozzo, l’avvocato: “Manca il movente”

“Martina Patti ha evitato l’ergastolo ma manca il movente”, così il legale della donna, l’avvocato Gabriele Celesti, ha annunciato a Fanpage.it il ricorso in appello contro la sentenza di condanna a 30 anni di carcere inflitta oggi in primo grado alla 25enne rea confessa dell’omicidio della figlioletta, la piccola Elena Del pozzo di quasi 5 anni, avvenuto il 13 giugno del 2022 a Mascalucia, nel Catanese.
A cura di Antonio Palma
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Martina Patti
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“Sicuramente faremo appello perché non ci spieghiamo in mancanza di un movente quale sia stata la ragione di un fatto cosi grave se non l’incapacità di intendere”, così il legale di Martina Patti, l’avvocato Gabriele Celesti, ha annunciato a Fanpage.it il ricorso in appello contro la sentenza di condanna a 30 anni di carcere inflitta oggi in primo grado alla 25enne rea confessa dell'omicidio della figlioletta, la piccola Elena Del pozzo di quasi 5 anni, avvenuto il 13 giugno del 2022 a Mascalucia, nel Catanese.

La difesa, che aveva puntato sull’incapacità di intendere e volere dell’imputata al momento dei fatti, continuerà a puntare su questo aspetto anche in secondo grado di giudizio. “Come avvocati possiamo dire di essere contenti tra virgolette di non aver riportato una condanna all’ergastolo perché il reato era da ergastolo come erano contestate aggravanti e quant’altro ma da un punto di vista tecnico faremo appello anche perché il profilo dell’incapacità di intendere e volere non è stato condiviso dalla Corte” ha spiegato l’avvocato dopo la sentenza emessa oggi dalla prima Corte d'assise di Catania.

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Una sentenza accolta con le lacrime dall’imputata Martina Patti che era presente in Aula alla lettura del dispositivo da parte della corte presieduta dal giudice Sebastiano Mignemi. Il tribunale ha accolto in pieno le richieste dell’accusa che contestava alla donna i reati di omicidio premeditato aggravato, occultamento di cadavere e simulazione di reato. I giudici hanno riconoscimento però le attenuanti generiche, in considerazione della confessione e della collaborazione dell'imputata.

“Ora cercheremo di capire le motivazioni della sentenza e poi sicuramente faremo appello anche perché non ci spieghiamo in mancanza di un movente quale sia stata la ragione di un fatto così grave se non quello di essere stata incapace in quel momento” ha sottolineato il legale, aggiungendo: “Giustificazioni diverse abbiamo difficoltà a trovarle”. L’altro punto chiave del processo di appello sarà la premeditazione del reato che la difesa continua a contestare.

Come ricostruito dalle indagini, il giorno dell’omicidio Martina Patti andrò a prendere la figlioletta all'asilo, dove fu ripresa dalle telecamere nell’ultimo abbraccio con la piccola Elena del Pozzo. Poi la portò in un campo non lontano dalla loro abitazione e qui la uccise e coltellate, seppellendola in una buca poco profonda prima di simulare un rapimento da parte di un commando di uomini incappucciati. Messa di fronte alle incongruenze del suo racconto, la donna confessò il delitto facendo ritrovare il corpo senza vita della piccola Elena Del pozzo ma non ha mai saputo spiegare il movente.

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