Marito e moglie uccisi a colpi di Kalashnikov: arrestato un uomo 10 anni dopo l’agguato
A distanza di 10 anni c'è un arresto per il caso dell'omicidio di due coniugi a colpi di Kalashnikov avvenuto a Squillace, in provincia di Catanzaro, la sera del 18 febbraio 2013.
I carabinieri del reparto operativo – nucleo investigativo del comando provinciale di Catanzaro hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) del capoluogo calabrese, nei confronti di un uomo per concorso nel duplice omicidio del 39enne Giuseppe Bruno e della moglie 29enne Caterina Raimondi.
Il destinatario della misura era già detenuto a Terni, dove stava espiando un pena di 12 anni di reclusione per la partecipazione a un'associazione a delinquere di tipo mafioso operante a Roccelletta di Borgia.
La nuova misura cautelare è stata emessa a seguito degli approfondimenti condotti in seguito a precedenti acquisizioni in altri procedimenti penali, sostenute da accertamenti scientifici sui reperti rinvenuti sul luogo del delitto, che avrebbero consentito di ricostruire, a livello cautelare, che il duplice omicidio, consumato con l'uso di un fucile d'assalto AK47 – Kalashnikov, sarebbe avvenuto nel contesto di una faida sorta per il controllo criminale del territorio.
Il duplice omicidio nel 2013
Giuseppe Bruno, 39 anni, e sua moglie Caterina Raimondi, 29, erano stati uccisi mentre stavano salendo a bordo del loro Suv Toyota Rav4. Gli specialisti dei carabinieri all'epoca avevano repertato nelle vicinanze circa trenta bossoli esplosi dall'arma. Come si legge in un articolo del 2013 Corriere della Sera, Raimondi sarebbe stata uccisa solo perché era in compagnia del marito, il vero obiettivo dell'agguato. La coppia era morta sul colpo e il Kalashnikov era stato abbandonato vicino ai due corpi.
La coppia era sposata da diversi anni e non aveva figli. L’uomo, con diversi precedenti, era titolare di un’agenzia di viaggi e gestiva un bar. La moglie invece era proprietaria di un negozio di detersivi. A dare l’allarme dopo l’agguato era stato un passante.
La Procura distrettuale di Catanzaro, che aveva assunto il coordinamento delle indagini, l’esecuzione di Bruno e di sua moglie era stata ricollegare alla faida del Soveratese che in quel periodo aveva fatto più di 30 morti. L’escalation criminale puntava al controllo totale del versante jonico catanzarese, ritenuto dalla cosche locali un territorio da sfruttare soprattutto nell’ambito delle estorsioni.
Tre anni prima era stato ucciso con decine di colpi di revolver Giovanni Bruno, fratello maggiore di Giuseppe, considerato il boss del paese. Viveva da solo con l’anziana madre ed era proprietario di una latteria.