Mario Paciolla: le zone grige e il ruolo dei funzionari dell’ONU dietro il mistero della morte
Anna e Giuseppe sono i genitori di Mario Paciolla, l'osservatore internazionale dell'ONU trovato morto a San Vicente del Caguàn in Colombia il 15 luglio 2020. Mario aveva il compito di verificare gli accordi di pace tra il governo colombiano e i guerriglieri delle Farc, patto che era stato stipulato nel 2016 e che prevedeva, tra le altre cose, il disarmo della guerriglia e il reinserimento dei guerriglieri nella società. Proprio l'ONU e la polizia locale in pochissime ore ritennero di bollare la morte di Mario Paciolla come un suicidio.
Senza autopsia, senza indagini, tutto in un tempo rapidissimo. Ma i genitori di Mario non hanno mai creduto a questa versione e da due anni combattono senza sosta per chiedere verità e giustizia per Mario. Un esempio di lealtà e di impegno civico quello di Anna e Giuseppe che non si stancano mai di portare la storia di Mario all'attenzione delle istituzioni internazionali. Qualche settimana fa c'è stata una svolta proprio da parte della famiglia che ha denunciato due funzionari dell'ONU, Christian Thompson e Juan Vàsquez, accusandoli di aver sottratto prove dalla casa di Mario dopo la sua morte. In questa lunga intervista a Fanpage.it, la signora Anna Motta analizza con noi tutte le zone grigie della morte di Mario, ricostruite grazie alle telefonate ed ai messaggi tra Mario e la sua famiglia negli ultimi 5 giorni prima della morte.
La fretta di scappare via: "Mamma ho bisogno di una carta di credito"
Mario Paciolla viene trovato morto nella sua abitazione, presa in affitto privatamente, la mattina del 15 luglio del 2020. I genitori sapranno della sua morte solo alle 18:20 ora italiana, quando una persona, che si è qualificata come una legale dell'ONU li ha chiamati nella loro casa di Napoli. "Questa persona si qualificò come legale dell'ONU – racconta Anna Motta – mi disse che doveva darmi una brutta notizia, che Mario era morto. Ma quando le abbiamo detto che non era possibile perché aveva appena fatto un biglietto di ritorno per l'Italia, ci disse che si era suicidato".
Subito dopo aver appreso la notizia, la legale dell'ONU fa una richiesta che definisce "di protocollo". "Aggiunse che doveva farmi una domanda da protocollo, mi disse se volevamo la restituzione del corpo. Io in quel momento capii che l'Onu voleva chiudere subito questa storia". Ed invece la vicenda che ha portato alla morte di Mario Paciolla è tutt'altro che chiusa ed attende verità e giustizia da due anni.
"Noi c'eravamo sentiti la notte prima ed era agitato – racconta mamma Anna – mi mandò un messaggio a mezzanotte e dieci e mi disse che aveva urgente bisogno di una carta di credito doveva fare un biglietto aereo subito. Io gli dissi che dormivano tutti e non riuscivo a trovargliela. Alla fine gli scrissi di provare a chiamare la sua amica Ilaria. E così a mezzanotte e mezza mi scrisse semplicemente, biglietto fatto!".
Ma perché Mario aveva così fretta di andare via? "Io non ho mai creduto al suicidio, né allora, né adesso, ma non ci crederò mai, Mario aveva progetti a lunghissimo termine" sottolinea la madre. Mario non aveva socializzato con i suoi genitori il dettaglio delle sue attività, sappiamo solo che fino ad un mese prima della sua morte era apparso tranquillo, ma gli ultimi giorni, anche nelle sue telefonate e nei messaggi con la famiglia, era apparso estremamente preoccupato. "Con il senno di poi posso pensare che aveva necessità di scappare, di andare via e ritornare in Italia il prima possibile" spiega Anna. Sappiamo che i motivi delle sue preoccupazioni erano legate all'ambiente di lavoro, quindi al personale dell'ONU che lavorava insieme a lui sulla verifica degli accordi di pace tra le FARC e il governo colombiano.
Gli chiesi: "L'organizzazione può farti qualcosa? Sei in pericolo di vita?"
La famiglia concentra negli ultimi 5 giorni prima della sua morte le zone grige e le stranezze che segnalavano una grave pericolo per Mario. Aveva chiesto di essere trasferito e lo aveva raccontato anche alla madre: "Mi aveva detto che era la prima volta che non avrebbe concluso una missione, a lui non piaceva la squadra, me lo diceva spesso, e mi disse che se l'Onu voleva tirarlo dentro lui sarebbe andato via".
Mario sarebbe dovuto partire il 15 luglio, giorno in cui è stato trovato morto, dalla Colombia per l'Italia. "Lui doveva partire con un volo umanitario, ma per poterlo fare era l'ONU che doveva preparagli i documenti, in quei giorni quando lo sentivo mi diceva che era nervoso e preoccupato perché questi documenti non arrivavano" spiega la madre.
Ma c'è una telefonata dell'11 luglio, tra Mario e sua mamma Anna su cui i genitori si concentrano. "L'11 luglio lo avevo sentito veramente molto preoccupato, tant'è che gli scrissi un messaggio dicendogli, sei in pericolo di vita? L'organizzazione può farti qualcosa?", segno che Mario faceva ben trasparire come la fonte delle sue preoccupazioni fossero tutte rivolte all'interno del personale ONU. "Mi disse di non preoccuparmi, mi tranquillizzò, ma d'altronde a 10 mila chilometri di distanza forse non poteva fare altrimenti" racconta la signora Anna.
"Abbiamo denunciato due funzionari dell'ONU e quattro poliziotti"
A lavorare sulla morte di Mario ci sono anche diversi giornali colombiani, che hanno potuto indagare da vicino sugli ultimi giorni di Mario a San Vicente del Caguàn. "Da quello che leggiamo sui giornali colombiani, Christian Thompson, un funzionario dell'ONU, il 15 luglio si è recato nella casa di Mario dove è stato trovato morto e per 30 minuti è stato da solo nell'abitazione. Lì ha prelevato il computer dell'ONU e il telefono che Mario aveva in dotazione. Poi è andato via ma si è tenuto le chiavi dell'appartamento. Dopo due giorni è ritornato ed ha pulito l'appartamento con la candeggina, buttando in discarica alcune cose che erano all'interno della casa di Mario. Insieme a lui c'era un altro funzionario, Juan Vàsquez".
E' stata la giornalista freelance Julieta Claudia Duque a darne notizia, lei conosceva bene Mario ed ha sempre lavorato per tenere alta l'attenzione sulla sua morte. Secondo la ricostruzione, Thompson avrebbe anche fotografato diverse tracce organiche che sembravano sangue e avrebbe fatto sparire anche il materasso di Mario, anche quello finito in discarica. "Abbiamo deciso di denunciare i due funzionari dell'ONU e i 4 poliziotti colombiani che hanno consentito l'accesso alla casa di Mario" spiega la madre. L'accusa è di aver sottratto delle prove dalla casa di Mario e di aver alterato la scena del crimine. Eppure, proprio Christian Thompson, che era il responsabile della sicurezza della missione in cui lavorava Mario, ha avuto anche una promozione, è stato trasferito alla sede centrale dell'ONU a Bogotà. "La squadra di cui faceva parte Mario è stata completamente smembrata – spiega la mamma – ed è stato impedito a questi ragazzi di parlare tra di loro, non sappiamo nemmeno in che luogo del mondo si trovino". Un atteggiamento tutt'altro che collaborativo da parte delle Nazioni Unite.
"I cooperanti non devono tornare a casa in una bara"
Anna e Giuseppe hanno chiesto aiuto sia al governo italiano che a quello colombiano in questi due anni. Hanno incontrato il Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, dopo la morte di Mario, ma è il presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico, l'istituzione che hanno sentito più vicino. "In Italia dovremmo capire quando ci sarà un governo come si metteranno le cose, ma più che altro noi ci aspettiamo un aiuto dal nuovo governo colombiano, è un governo progressista e speriamo che possa essere sensibile al tema della morte di Mario".
La vittoria alle elezioni di Gustavo Petro, primo presidente di sinistra della storia della Colombia ha aperto una nuova fase del paese, nei ruoli chiave Petro sta coinvolgendo anche gli indios e le minoranze. Un segnale di cambiamento che fa ben sperare la famiglia Paciolla. "Mario era anche un giornalista – ci racconta sua madre – aveva preso il tesserino nel 2013, solo dopo la sua morte abbiamo avuto l'opportunità di leggere tante cose che aveva scritto, ma soprattutto Mario era un cooperante. Crediamo che la memoria di Mario vada onorata con una verità accettabile, per noi e per tutti i suoi amici".
Un profilo, quello di Mario, simile a quello di Giulio Regeni, il cooperante e giornalista italiano ucciso in Egitto nel 2016, un'altra morte senza colpevoli di un italiano all'estero. "Io penso che il mondo della cooperazione internazionale sia straordinario, abbiamo conosciuto tantissimi ragazzi che si adoperano davvero per rendere il mondo un posto migliore, ed è assolutamente necessario che questi ragazzi tornino nelle loro famiglie, non è possibile che devono tornare in una bara o in una cassa da morto, oppure come è tornato Mario, in una cassa di legno".