Marianna Manduca, l’orrore della violenza in un diario: “Prendo botte per salvare i bimbi”
"Sono Marianna Manduca, la mia è una storia vera, fatta di violenze, sopraffazioni e quotidiane umiliazioni. Il mio ex non riesce a tollerare che io abbia alzato la testa, lasciandolo e denunciando le violenze. Per questo ha deciso, per ritorsione e vendetta, di colpirmi nell'unico mio vero punto debole: i figli. Allego 12 querele". È la straziante testimonianza – pubblicata da Repubblica nel long form sul femminicidio di Palagonia – di Marianna Manduca, vittima di femminicidio. Prima di essere uccisa a coltellate dall'ex Saverio Nolfo, denunciato dodici volte per violenza domestica e a cui incredibilmente erano stati affidati i figli, Marianna aveva steso un memoriale indirizzato al Tribunale dei Minori, per chiedere che i suoi tre bambini fossero collocati presso di lei e non al domicilio del suo ex (un locale con un tetto in plastica e senza doccia o lavabo, ndr). Nello spiegare le ragioni della sua legittima richiesta, Marianna ha raccontato tutto l'orrore della vita coniugale con il Nolfo e tutte le angherie e i ricatti che ha dovuto subire per aver deciso di lasciarlo.
Il diario di Marianna Manduca
Il racconto comincia con i primi momenti di vita di coppia dopo le nozze a Palagonia. "Fin da subito – scrive Marianna – mi resi conto di avere sposato una persona completamente diversa da quella che avevo conosciuto. Tra me e lui, infatti, c'era l'eroina. Quando l'ho scoperto ero già in attesa del nostro primo figlio. Lui promise che avrebbe fatto di tutto per disintossicarsi. Accettare quella condizione ha messo letteralmente fine alla mia vita di donna e di madre".
Lui diceva: "Denuncia, nessuno ti crederà"
"Ben presto lui capì che non sopportavo più quella vita – continua Marianna – Da quel momento cominciò a odiarmi e a picchiarmi con inaudita violenza. Mi diceva che nessuno mai avrebbe creduto alle mie storie, perché lui era più furbo dei giudici". La condizione di prostrazione di Marianna peggiora di giorno in giorno. "Non uscivo più di casa. Aspettavo la mia razione quotidiana di botte rassegnata. Lo facevo per evitare che quella bestia rivolgesse le sue attenzioni contro i miei genitori e contro i miei figli. La mia formazione culturale, l'ambiente in cui avevo sino ad allora vissuto, non mi aveva preparato a tanto. È per questo che non ho mai avuto il coraggio di raccontare ad anima viva quello che stavo vivendo. Provavo una infinita vergogna".
I figli affidati all'ex violento
L'inferno in cui Marianna è discesa ‘dalla porta principale', arriva al suo ultimo gradino, l'ultima brutale aggressione. "Quel giorno ho provato così tanta paura – scrive Marianna – che ho giurato a me stessa che se mai mi fossi salvata da quel pestaggio, avrei messo fine a questa storia". È la presa di coscienza, il punto di non ritorno che la spinge a lasciare la causa coniugale, senza, purtroppo, poter portare con sé i suoi bimbi. Il minore ha appena due anni, porta ancora il pannolino. "Da allora non ho più rivisti – racconta – il Giudice ha preferito affidarli al mio ex marito, consentendomi di tenerli con me solo tre volte alla settimana per tre ore".
Ma i bimbi vivono nel degrado
Marianna è incredula, non capisce perché, dopo le molteplici denunce e un ordine di allontanamento, non possa tenere i suoi bambini, a fronte per altro dell'ambiente inadeguato dove vivono con il padre. Una casa senza doccia, bidè, lavabo, con i soli servizi igienici all'esterno. I piccoli, inoltre, soffrono incredibilmente la mancanza della madre. "Il più piccolo quando mi vede arrivare corre tra le mie braccia, e non vuole saperne di tornare a casa dal padre. Molte volte fa finta di addormentarsi proprio quando è ora di tornare".
È stato tutto inutile
Di fronte alla reazione dei bimbi, racconta Marianna, l'ex si accanisce per toglierle del tutto il diritto di vederli. "Dopo essersi reso conto che i miei figli cominciavano a manifestare la loro voglia di venire a stare con me – scrive – ha cominciato a impedirmi di fatto il mio esercizio del diritto di visita in maniera sempre più violenta"."L'unica mia speranza era il giudice della separazione, il cui procedimento era stato da me stessa invocato. Ma è stato tutto vano e allo stesso tempo incredibile. Molte volte ho pensato che forse sarebbe stato meglio non denunciarlo. Ma è una debolezza che dura solo qualche minuto".