Si rifiuterà di celebrare le unioni civili. E' quanto ha dichiarato stamane Alfio Marchini, candidato sindaco di Roma in quota Forza Italia. "Non ho nulla contro il riconoscimento dei diritti civili, ma non è compito del sindaco fare queste cose per cui non celebrerò unioni gay se dovessi vincere le elezioni", ha dichiarato il costruttore romano, cercando di spiegare le sue ragioni. Ragioni personali, o meglio politiche, più che delle vere e proprie esigenze burocratiche, sembrerebbero essere. Ragioni che, peraltro, non sarebbero contemplate dalle norme vigenti in materia amministrativa.
Come infatti ha ricordato la senatrice Monica Cirinnà – prima firmataria del ddl sulle unioni civili che proprio in questi giorni dovrebbe essere approvato in via definitiva dalla Camera dei Deputati, dopo un complicato iter legislativo che più e più volte ha rischiato di concludersi in un nulla di fatto – la posizione di Marchini sarebbe di fatto insostenibile di fronte alla legge: "Le unioni civili, una volta approvate definitivamente dal Parlamento non sono derogabili per scelta politica. Se Marchini, come ha annunciato, non celebrerà le unioni civili tra persone dello stesso sesso non soltanto andrà contro i diritti dei cittadini romani, ma anche contro una legge dello Stato con tutte le conseguenze civili e penali".
Conseguenze previste dal codice penale, conseguenze per nulla trascurabili. Come la stessa Cirinnà ha rilevato, e come già evidenziato da Angelo Schillaci, giurista dell’Università Sapienza di Roma, il rifiutarsi di celebrare le unioni civili configurerebbe un reato e potrebbe far scattare la denuncia in base all’art. 328 c.p. per "omissione e rifiuto d'atto d'ufficio", illecito che prevede che "il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni". Infatti, non essendo espressamente prevista nell’attuale ddl, l’obiezione di coscienza non può essere utilizzata come una motivazione per non celebrare una unione civile.
Spiega Schillaci:
"Di fatto, è possibile che qualche sindaco o ufficiale di stato civile, a legge approvata, invochi l’obiezione di coscienza per non celebrare l’unione tra due persone dello stesso sesso, ma l’attuale testo, ai commi 2 e 3 dell’articolo 1 prevede che sia l’ufficiale di stato civile a celebrare l’unione e a provvedere ‘alla registrazione degli atti di unione civile’. Questo implica che è dovere dell’ufficiale svolgere questo compito. Nel caso in cui un ufficiale di stato civile dovesse rifiutarsi, dunque, potrebbero porsi le basi per un’accusa di omissione e rifiuto di atto d’ufficio".
Insomma, non esisterebbe alcuna scappatoia: impossibile rifiutarsi di applicare una legge dello stato per motivi di obiezione di coscienza, se questi non sono espressamente previsti e ciò vale sia per Alfio Marchini che per qualunque amministratore pubblico volesse opporsi alla celebrazioni delle unioni civili per qualsivoglia motivo. Lo stesso discorso, infatti, potrebbe essere applicato anche ai candidati della lista Popolo della Famiglia di Mario Adinolfi, che nel parziale programma pubblicato su Facebook hanno dichiarato che "analogamente (il riferimento è all'obiezione di coscienza conto l'aborto ndr) gli eletti del Popolo della Famiglia rifiuteranno di celebrare unioni civili omosessuali in Campidoglio secondo le ritualità paramatrimoniali fissate dalla legge Cirinnà, riconoscendo come famiglia solo quella declinata dall'articolo 29 della Costituzione".
Posizioni, quelle dei candidati di Mario Adinolfi e Alfio Marchini che, tralasciando la dimensione meramente etica e religiosa, evidenziano soprattutto una scarsa conoscenza della normativa relativa alla Pubblica amministrazione. Non esattamente un buon biglietto da visita per chi si candida a guidare una macchina politica e amministrativa complessa come quella della città capitale d'Italia.