Succede nell'ospedale di Narni, in Umbria, ma è un fenomeno grave e decisamente diffuso nel paese che vale la pena denunciare sempre. Una signora che ha effettuato un'interruzione volontaria di gravidanza ha trovato nell'atrio del reparto di ginecologia ostetricia adibito a piccola sala d'aspetto, il cartello di uno dei tanti movimenti pro Life: SosVita: “per non lasciarti sola davanti a una gravidanza inattesa e che ti spaventa”, con numero verde da chiamare in caso non avesse pensato bene a cosa sta facendo.
L'immagine suggestiva è quella di un feto più o meno alla fine del terzo mese di gravidanza. Una tecnica molto usata dai Movimenti per la Vita: serve a focalizzare l'attenzione di chi osserva sulle sembianze, incomplete, ma vagamente umane del feto. In realtà, si cerca di evocare un concetto colpevolizzante: chi vuole abortire sta compiendo un omicidio, ma loro sono lì a convincerti che sei ancora in tempo, e ti vogliono proprio dare una mano diffondendo, non si sa a che titolo, il proprio convincimento tanto legittimo quanto personale e inappropriato in una sede come quella.
Perché è stato consentito ad esterni che promuovono la propria visione dell'aborto e della vita di appendere delle locandine all'interno del reparto di una struttura pubblica? Non esiste già una legge?
Non ho mai visto quella locandina e non ne so nulla”, replica il direttore del reparto dott. Roberto Provaroni.
La signora ci manda la fotografia che è di venti giorni fa.
Deve essere sfuggito. Non ospitiamo mai nessun tipo di materiale iconografico. Né di una parte né di un'altra.
Perché quale sarebbe l' “altra parte”? Ricorrere all'aborto non è un'ideologia da condividere o meno…
“Volevo dire che ad esempio, a volte, si reclamizzano avvocati per fare causa ai medici. Quando è successo, ho fatto togliere i cartelli”, risponde fuori di sé il dott Provaroni che trova capziose queste domande.
E' un po' diverso però, quello è un privato che offre un servizio ed è ovviamente inopportuno, Sos Vita condanna la scelta che sta facendo una donna in quel momento… e che è regolata da una legge.
“Ma questa signora si è sentita condizionata? E' stata trattata male? Si è lamentata del disservizio? Noi siamo l'unico ospedale che fa aborto farmacologico in Umbria!” (quindi malgrado sia stata sbandierata politicamente la delibera regionale umbra per consentire alle donne di scegliere tra aborto farmacologico – Ru486 – e chirurgico, un solo ospedale ne fa uso, Ndr)
No, la signora si è lamentata come cittadina: ha trovato grave l'ingerenza nella sua scelta. Ma quanti obiettori ci sono nel suo reparto?
Non lo so. Due o tre.
Lei consente ai volontari del Movimento della Vita di entrare per convincere le donne che stanno sbagliando?
Certo che è permesso, sennò che facciamo discriminazione al contrario?
L'aborto è un evento nella vita di una donna che può avere risvolti psicologici pesanti, non si conoscono mai le ragioni intime di quella scelta e della sofferenza che implica. La 194 è la norma che regolamenta la questione, votata con un referendum popolare, che prevede anche, da parte del personale medico e non medico la facoltà di esercitare il proprio “credo”, e di astenersi. Si chiama “obiezione di coscienza” e riguarda ormai in Italia più dell'80% del personale medico e non medico. Una visione del mondo diffusa in modo davvero un po' sospetto, e che ha reso l'aborto un calvario.
aOggi, in una struttura pubblica, quindi, una donna della quale non sappiamo in quale momento si trovi della propria vita e in quale fase, quando ha ormai scelto, proprio all'ultimo, è costretta ad assistere a cullette e partorienti di passaggio (in Francia è assolutamente vietato) e pressioni psicologiche dall'esterno. In genere di ispirazione religiosa.