Mamma Micaela e la lotta al tumore. L’appello del marito: “Aiutatemi a salvare la mia famiglia”
"Sto cercando di salvare mia moglie e con lei la mia famiglia. Provo vergogna a chiedere soldi ma per lei farei di tutto". A parlare è Stefano Chiesi Mazzanti e il suo è un appello a cuore aperto per Micaela, sua consorte e mamma dei suoi 3 figli piccoli, che ormai da 2 anni combatte contro una forma aggressiva di tumore. Nonostante si sia sottoposta a tutte le cure possibili, Micaela a 39 anni rischia la vita e, in attesa di ricevere risposte dai centri specializzati in Italia, il pensiero corre Oltreoceano, dove ci sono cliniche all'avanguardia, ma molto costose, che potrebbero rappresentare la sua sola speranza di sopravvivenza. Per questo Stefano ha deciso di lanciare una raccolta fondi online su Facebook, con l'obiettivo di riuscire a mettere insieme il denaro necessario a far volare tutta la sua famiglia in Messico, a circa 50 chilometri da San Diego, dove vi è la succursale dell'Issels Medical Center di Santa Barbara.
Il calvario della famiglia Chiesi Mazzanti, che vive ad Altedo, nel Bolognese, comincia nel febbraio del 2017, quando a Micaela, a soli 37 anni, viene diagnostico un carcinoma duttale infiltrante al seno. "Lo abbiamo scoperto quando aspettavamo la nostra terza figlia, Jennifer, che poi è nata con una invalidità – ha raccontato a Fanpage.it -. Mia moglie aveva saputo che aveva questa massa al seno, ma siccome l'anno prima aveva subito un aborto spontaneo ed è rimasta incinta quasi per miracolo, ha deciso ugualmente di portare a termine la gravidanza". Dopo la nascita della piccola, Micaela si è sottoposta ad una chemio sperimentale, che è durata 4 mesi e che le ha ridotto la massa tumorale. Poi, ha affrontato una mastectomia e ancora un ciclo di radio. Ma dopo qualche mese il male è tornato più aggressivo che mai. "Il settembre successivo ha fatto un esame del sangue di controllo ai marcatori, ma i risultati erano completamente sballati. Così siamo tornati all'ospedale Sant'Orsola di Bologna, dove siamo seguiti dal Professor Zamagni, primario di oncologia, il quale ci ha detto che si erano formate delle metastasi al fegato e alla spina dorsale, il che l'ha costretta a indossare un busto perché rischia la paralisi. Ora stiamo lottando ancora. Intanto, mia moglie ha cambiato 5 o 6 terapie, ma non sono sufficienti".
Così, Stefano ha cominciato a cercare delle cure alternative per permettere alla moglie di vivere. "Sono due anni che mi informo. Lo so che mia moglie di questa malattia dovrà morire, mi crolla il mondo addosso ma ho fatto di tutto, anche aprire la raccolta fondi su Facebook – ha continuato -. Vorrei portarla in una clinica a Santa Barbara, che ha una succursale in Messico, perché molti con la sua patologia sono guariti e voglio tentare. Anche in Italia abbiamo contattato numerosi centri specializzati, stiamo aspettando una risposta da Siena per vedere se c'è la possibilità di entrare a far parte di uno studio sperimentale che si adatti al tipo di tumore di Micaela. In America, invece, stanno sperimentando un tipo di trattamento che va bene per tutti i tumori. Non mi hanno mai dato una cifra esatta che potremmo spendere, ma dipende dal tempo di permanenza. Ho calcolato di portare con noi i nostri 3 bambini".
La coppia ha infatti 3 figli: Aurora, che ha 8 anni e mezzo, Jonathan, che ne ha 7 e Jennifer, che è la più piccola. "Mia moglie non può più lavorare, faceva la barista. Ha una invalidità al 100 per cento, le hanno tolto da poco la possibilità di lavorare e ha anche l'accompagnamento – ha concluso -. Quando c'è di mezzo una vita io farei qualsiasi cosa. Non mi sono mai trovato in una situazione simile. Mi vergognavo di chiedere soldi, eppure sono arrivato anche a chiedere l'elemosina perché per lei faccio questo e altro. In fin dei conti sto solo cercando di salvare Micaela e con lei la mia famiglia. Lei è una roccia, facciamo di tutto per tenerla viva. Nel malaugurato caso che non si riesca a raggiungere lo scopo, ma non lo voglio neanche pensare, tutto il denaro donato sarà riconsegnato su richiesta ai loro donatori".