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Mafia, maxi blitz a Catania: 109 arresti e numerose perquisizioni

109 persone sono accusate di associazione di tipo mafioso, estorsione, detenzione e traffico di stupefacenti, intestazione fittizia di beni e detenzione e porto illegale di armi. Avrebbero praticato numerose estorsioni e aggressioni ai danni di attività commerciali e imprenditori.
A cura di Fabio Giuffrida
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Vasta operazione antimafia del Comando provinciale di Catania che, con oltre 500 carabinieri ed unità specializzate, dalle prime ore del mattino, ha eseguito su tutto il territorio nazionale e all'estero – in Germania ed Olanda – un provvedimento restrittivo nei confronti di 109 persone (di cui 106 in carcere e 3 agli arresti domiciliari per ragioni di salute), ritenute affiliate del clan mafioso "Laudani" e responsabili di associazione di tipo mafioso, estorsione, detenzione e traffico di stupefacenti, intestazione fittizia di beni e detenzione e porto illegale di armi. Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, hanno consentito di ricostruire l'organigramma del clan mafioso caratterizzato da un'"autonomia criminale orgogliosamente rivendicata anche nei confronti di cosa nostra catanese" con la quale ha stretto alleanze partecipando alle più sanguinose faide degli anni ottanta e novanta.

La cosca mafiosa dei Laudani è ritenuta una delle più ramificate e pericolose organizzazioni criminali operanti nel catanese, diretta dai componenti di un gruppo familiare facente capo al "patriarca" Sebastiano Laudani, sottoposto con l'attuale ordinanza agli arresti domiciliari per ragioni di salute, che lo avrebbe gestito nel tempo per il tramite dei suoi congiunti tra i quali, in passato, il figlio Gaetano Laudani, ucciso nel 1992 e soprattutto, da ultimo, i nipoti Giuseppe Laudani e Alberto Caruso.

Attentati alle attività commerciali e aggressioni agli imprenditori

Gli investigatori sono riusciti ad individuare capi e gregari del clan e hanno accertato numerose estorsioni, praticate "in modo capillare e soffocante", ai danni di imprese ed attività commerciali al punto da costituire un condizionamento illecito all'economica locale posto in essere anche con attentati alle attività produttive e con aggressioni agli imprenditori. Le dichiarazioni delle vittime non sono state decise, a riprova del diffuso stato di assoggettamento: come spiegano i militari, le vittime o hanno negato di essere sottoposte al pagamento del pizzo o si sono limitate ad ammettere "il solo fatto storico dell'estorsione", non fornendo alcun elemento utile all'identificazione dei responsabili. Sono state rinvenute, poi, vere e proprie liste di esercizi ed aziende sottoposte ad estorsione che hanno permesso di mappare tutte le imprese vessate le quali avrebbero versato importi tra i 3.000 e i 15.000 euro annui. Somme che venivano reinvestite – secondo gli investigatori – in varie attività imprenditoriali attraverso dei prestanome al fine di eludere le disposizioni di legge.

Tre donne con ruoli centrali nella cosca mafiosa

E' stato scoperto, inoltre, che tre donne avrebbero avuto un ruolo centrale in seno all'organizzazione mafiosa: tratte in arresto nell'ambito dell'operazione, hanno dimostrato di essere in grado di dirigere le attività criminali della cosca secondo le direttive impartite dai vertici, occupandosi anche della gestione della "cassa comune" e del sostentamento economico delle famiglie degli affiliati detenuti.

Il denaro, ritenuto provento delle attività illecite (estorsioni, usura, traffico di droga e rapine), sarebbe stato reinvestito in fiorenti attività economiche quali il commercio all'ingrosso di carni, acquisti di terreni anche all'estero, imprese edili e commerciali. Determinante è stata la collaborazione con la giustizia di Giuseppe Laudani, nipote del capostipite e ai vertici dell'organizzazione criminale dal 1999 al 2010, primo e unico membro della famiglia di sangue ai vertici del clan a compiere la scelta di rinnegare il proprio passato criminale mafioso, passando dalla parte dello Stato e svelando i retroscena di quasi vent'anni di vicende mafiose che hanno tristemente caratterizzato la storia criminale del capoluogo etneo.

Ecco com'era radicato il clan Laudani

Il clan Laudani era suddiviso in gruppi ben radicati ciascuno su una propria zona territoriale di influenza e dotati di una autonomia decisionale ed operativa limitata dall'esigenza di rispondere ai vertici del clan, cioè alla famiglia Laudani "di sangue": una sorta di "holding" nella quale il gruppo dominante, quello della famiglia Laudani, prendeva le decisioni essenziali quali guerre, alleanze e suddivisioni di tangenti con altri clan, lasciando invece l'attività concretamente operativa (come le estorsioni e il traffico di droga) all'autonomia dei gruppi territoriali. I gruppi operavano soprattutto nel quartiere Canalicchio e in tutto l'hinterland etneo, da Acireale a Giarre, da Zafferana Etnea a Caltagirone, da Paternò ad Aci Catena. E' emerso, infine, che il clan mafioso fosse riuscito ad infiltrarsi anche in apparati istituzionali: sono state contestate a soggetti dell'avvocatura e delle forze dell'ordine condotte di appoggio all'associazione mafiosa, qualificate come concorso esterno nel delitto associativo e reati come la rivelazione di segreto d'ufficio e di accesso abusivo a sistema informatico.

Le reazioni

Per il presidente della Commissione Antimafia siciliana Nello Musumeci l'operazione di oggi "dimostra che lo Stato ha mezzi e volontà per combattere il potere di controllo mafioso del territorio". Il deputato etneo di Forza Italia Basilio Catanoso ha palato di un lavoro "reso meno semplice dalle gravi carenze di uomini e mezzi con cui chi è demandato a proteggere la comunità e la Nazione è costretto a confrontarsi". Per Rosario Crocetta, presidente della Regione siciliana, si tratta di un grande contributo che "libera la Sicilia da quei condizionamenti criminali che ne hanno compromesso lo sviluppo e leso i diritti dei cittadini".

"Oggi è un giorno importante per lo Stato italiano e per Catania che viene liberata dal giogo mafioso grazie ai Carabinieri e alla Dda" ha dichiarato il Sindaco di Catania."Questo clan rappresentava un autentico cancro per il nostro territorio perché gestiva una complessa e ramificata organizzazione per le estorsioni ai commercianti […] Ora occorre che tanti altri imprenditori e commercianti si liberino dalla paura e comincino a collaborare perché, solo attraverso la denuncia dei comportamenti illeciti da parte di chi li subisce, la società civile potrà prevalere" ha concluso Enzo Bianco. Le quattro associazioni territoriali aderenti alla Federazione Nazionale Antiracket Italiana fanno sapere di essere "pronti ad aiutare chi vuole liberarsi dalla morsa del racket e dell'usura": "Le denunce servono, sono fondamentali, perché rappresentano il punto di partenza di un percorso di legalità che non ha mai avuto ritorsioni contro chi lo ha intrapreso. Sono ancora tanti gli imprenditori che non hanno denunciato".

"Questa è la testimonianza di una presenza persistente e pervasiva della mafia nel nostro territorio. Una presenza che la magistratura e le forze dell'ordine combattono ogni giorno. La politica non può consentire alcuna indulgenza ma deve agire con la massima chiarezza, inflessibilità e rigore, intervenendo ancor prima della magistratura, rifiutando ogni compromesso e isolando i soggetti poco limpidi" è il commento di Giuseppe Berretta, parlamentare del Pd.

Le parole del Ministro Alfano

Per Angelino Alfano, Ministro dell'Interno, "è un'altra grande giornata per i cittadini": "Lo Stato ha inferto un durissimo colpo ai sistemi criminali, smantellando una delle cosche più pericolose ed attive di Catania […] Continuiamo su questa strada, che è quella giusta perché la rete della legalità prevalga su quella del crimine e perché i cittadini abbiano la forza di partecipare alla costruzione della loro libertà da quei criminali che vogliono tenere in ostaggio l'economia della Sicilia".

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