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Mafia, ecco come i Servizi hanno pagato 8 boss per ottenere informazioni

Scoppia lo scandalo per il documento che sottoscrive l’accordo tra i vertici di Sisde, Dap e otto detenuti eccellenti del 41 bis, pagati per fornire informazioni. Il presidente dell’Antimafia Fava: “I vertici dei Servizi hanno mentito”
A cura di Angela Marino
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Mario Mori, direttore Side
Mario Mori, direttore Side

"Si sono detti disponibili a fronte di un compenso da definire". È quanto si legge nelle sei pagine del "Protocollo farfalla", il documento che sottoscrive l'accordo (economico) tra i vertici dell'intelligence e il gotha delle organizzazioni criminali all'interno del carcere, in virtù del programma omonimo, avviato dal'ex Sisde e dalla Direzione delle carceri (Dap) per ottenere la collaborazione di otto capi di ‘ndrangheta e mafia. Il documento al quale era stato apposto il sigillo della massima segretezza nel 2004, anno di inizio della "trattativa" e desecretato a luglio è ora al centro di una indagine che intende fare chiarezza sulla natura degli accordi stipulati tra gli uomini dei Servizi e i capi delle più potenti cosche criminali.

Tolto a luglio il segreto di stato, il documento presenta ancora numerosi punti oscuri. Innanzitutto, non vi è traccia le informazioni fornite dagli otto boss, delle quali non è possibile stabilire la fondatezza. Non è chiaro quanto e a chi siano state pagate, dal momento che i detenuti del 41 bis non avevano un conto corrente bancario. E infine, quale prezzo hanno avuto queste notizie?

2006: la Procura di Roma apre l'indagine sul Protocollo farfalla

Erano solo i Servizi a gestire in ogni aspetto l'operazione, della quale solo pochissimi erano a parte. Tra questi Mario Mori direttore del Sisde e il capo dell'ufficio ispettivo del Dap, diretto da Giovanni Tinebra, Salvatore Leopardi. All'oscuro era invece il capo dell'ufficio detenuti, Sebastiano Ardita che iniziò a nutrire dei sospetti circa le operazioni quando gli chiesero di trasferire alcuni boss al 41 bis. A tale richiesta il direttore si oppose generando uno scontro all'interno del Dap. Non passò molto tempo prima la procura di Roma aprisse una indagine. Era il 2006, quando, dopo un'audizione i pm decisero di indagare arrivando vicinissimi al "Protocollo Farfalla", che di lì a poco sarebbe emerso.

Sulla vicenda è intervenuta anche la commissione antimafia, il cui il vice-presidente Claudio Fava ha dichiarato: "I vertici dei servizi di sicurezza hanno clamorosamente mentito alla commissione, è inammissibile. E, ciò che è più grave, hanno mentito nel corso di audizioni segrete negando l'esistenza del protocollo, di cui oggi abbiamo ogni evidenza, dopo la scelta del capo del governo di togliere il segreto di Stato".

A sollevare nuovi dubbi sulla gestione dei detenuti "di rango", arriva anche Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione dei familiari della strage di via dei Georgofili, che obietta: "A uno dei capimafia inseriti nel protocollo, Fifetto Cannella, condannato per le stragi del '92-'93, fu revocato il carcere duro nel 2008: perché? Il 41 bis gli fu poi ripristinato solo per le polemiche scaturite".

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