Mafia, colpo ai clan dei Nebrodi, 94 arresti. Avrebbero intascato fondi Ue per 5,5 milioni
I carabinieri del Ros e la Guardia di Finanza hanno arrestato 94 persone nel corso di un imponente blitz messo a segno contro i clan mafiosi messinesi dei Nebrodi. Sono oltre 600 i militari coinvolti nell'operazione che è stata coordinata dalla Dda di Messina, guidata dal procuratore Maurizio de Lucia. L'inchiesta ha inoltre portato al sequestro di 150 imprese. Sono stati decapitati i clan mafiosi dei Batanesi e dei Bontempo Scavo. L'indagine è stata condotta dai carabinieri del Ros, del comando provinciale di Messina e del Comando Tutela Agroalimentare e dai Finanzieri del Comando provinciale di Messina.
Gli indagati sono in tutto 194. Delle 94 misure emesse 48 sono provvedimenti di custodia cautelare in carcere, le altre invece di arresti domiciliari. In cella sono finiti i vertici delle famiglie mafiose dei Batanesi e dei Bontempo Scavo, gregari, estortori e "colonnelli" dei due clan dei Nebrodi. Le accuse sono, a vario titolo, di associazione mafiosa, truffa aggravata, intestazione fittizia di beni, estorsione, traffico di droga. L'indagine coinvolge anche imprenditori e professionisti insospettabili come ad esempio un notaio che risulta accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Il gip di Messina che ha emesso l'ordinanza, Sergio Mastroeni, ha analizzato oltre 30000 pagine di atti giudiziari. I personaggi di spicco dell'indagine sono, per i batanesi, Sebastiano Bontempo detto il guappo, Giordano Galati detto Lupin, Sebastiano Bontempo, "il biondino" e Sebastiano Mica Conti. Tutti hanno scontato condanne per mafia, Mica Conti anche per omicidio. Dopo aver espiato le pene, sono stati scarcerati e tornati al vertice del clan. I vertici della "famiglia" dei Bontempo Scavo coinvolti sono: Aurelio Salvatore Faranda e i fratelli Massimo Giuseppe e Gaetano.
Le mani delle famiglie mafiose sui soldi dellʼUe
Secondo quanto emerso dall’indagine, avrebbero puntato sui soldi dell'Ue i clan messinesi che avrebbero intascato indebitamente fondi europei per oltre 5,5 milioni di euro, mettendo a segno centinaia di truffe all'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), l'ente che eroga i finanziamenti stanziati dall'Ue ai produttori agricoli. A fiutare l'affare sono stati i clan storici di Tortorici, paese dei Nebrodi, i Batanesi e i Bontempo Scavo, che, anche grazie all'aiuto di un notaio compiacente e di funzionari dei Centri Commerciali Agricoli (CCA) che istruiscono le pratiche per l'accesso ai contributi europei per l'agricoltura, hanno incassato il denaro. I due clan si sono alleati, spartendosi virtualmente gli appezzamenti di terreno, in molte aree della Sicilia e anche fuori dall'isola, necessari per le richieste di sovvenzioni. "Ciò, – scrive il gip – con gravissimo inquinamento dell'economia legale, e con la privazione di ingenti risorse pubbliche per gli operatori onesti". La truffa si basava sulla individuazione di terreni "liberi" (quelli per i quali non erano state presentate domande di contributi). A segnalare gli appezzamenti utili spesso erano i dipendenti dei CCA che avevano accesso alle banche dati. La disponibilità dei terreni da indicare era ottenuta o imponendo ai proprietari reali di stipulare falsi contratti di affitto con prestanomi dei mafiosi o attraverso atti notarili falsi. Sulla base della finta disponibilità delle particelle, veniva istruita da funzionari complici la pratica per richiedere le somme che poi venivano accreditate al richiedente prestanome dei boss spesso su conti esteri. "La percezione fraudolenta delle somme era possibile grazie all'apporto compiacente di colletti bianchi, collaboratori dell'A.G.E.A., un notaio, responsabili dei centri C.A.A., che avevano il know-how necessario per procurare l'infiltrazione della criminalità mafiosa nei gangli vitali di tali meccanismi di erogazione di spesa pubblica e che conoscevano i limiti del sistema dei controlli", scrive il gip.
Gip di Messina: "Mondo rassegnato alla deriva mafiosa"
"La mafia è una specie di classe sociale, contrastabile ma non eliminabile come categoria, nonostante decine e decine di operazioni e processi. Un riscatto completo, la liberazione del territorio, difficilmente sarà ottenuta solo con l'intervento giudiziario. Le misure non arrestano un mondo rassegnato alla deriva mafiosa, una sventura per mafiosi e famiglie", è quanto scrive il gip di Messina Salvatore Mastroeni che, accogliendo la richiesta della Procura, ha disposto l'arresto di 94 persone. Il gip parla di una "criminalità che ingurgita profitti milionari. Profitti che spariscono e niente lasciano alla gente".
Storicamente ritenuta "minore" rispetto a Cosa nostra palermitana e catanese, tanto da far meritare alla provincia di Messina l'appellativo di "babba", ingenua. Una visione in contrasto con quello che emerge dall'indagine della Procura di Messina che ha disarticolato i clan mafiosi dei Nebrodi e ha scoperto una truffa milionaria all'Unione Europea messa a segno dai boss. La mafia è tornata alla terra, ma non è più la "mafia dei pascoli": siamo di fronte a una organizzazione imprenditoriale al passo coi tempi che sfrutta le potenzialità offerte dall'Ue all'agricoltura e riesce a intascare fiumi di denaro. Le cosche tortoriciane dei Batanesi e dei Bontempo Scavo, disarticolate dall'inchiesta, avevano rapporti anche con Cosa nostra palermitana, con le "famiglie" catanesi e con esponenti mafiosi di Enna e Catenanuova. Dall'indagine, condotta dai carabinieri del Ros e dalla Finanza, viene fuori che i boss non hanno dismesso le tradizionali attività illecite – estorsioni, traffici di droga -, ma i taglieggiamenti spesso sono finalizzati all'accaparramento di terreni, la cui disponibilità è presupposto per accedere ai contributi comunitari; "settore, questo, – scrive il gip – che costituiva il principale, moderno, ambito criminale di operatività delle famiglie mafiose, unitamente ad un'attività di narcotraffico organizzato grazie ad una rete di contatti in ambito regionale, e nel cui settore venivano reimpiegate, con ogni probabilità, le ingenti somme depredate attraverso le truffe". Gli inquirenti hanno anche accertato che il denaro illecito transitava spesso su conti esteri per, poi, "rientrate in Italia, attraverso complesse e vorticose movimentazioni economiche, finalizzate a farne perdere le tracce". "Le organizzazioni mafiose in questione, – dice ancora il giudice – grazie all'apporto di professionisti, presentano una fisionomia dinamica, muovendo dal controllo dei terreni, forti di stretti legami parentali e omertà diffusa, mirano all'accaparramento di utili, infiltrandosi in settori strategici dell'economia legale, depredandolo di ingentissime risorse, nella studiata consapevolezza che le condotte fraudolente, aventi ad oggetto i contributi comunitari, praticate su larga scala e difficilmente investigabili in modo unitario e sistematico, presentino bassi rischi giudiziari, a fronte di elevatissimi profitti".