Quello che avevamo predetto, è avvenuto. La tempesta su Roma Capitale, su Roma Criminale è arrivata e sta rimescolando le carte su un tavolo da gioco a cui hanno partecipato in molti. Un tavolo gestito da un croupier, “cecato” ma potente, che distribuiva le carte a giocatori coscienti di essere “schiavi” di un sistema di malaffare politico-imprenditoriale che, a ben vedere, è quasi un mantra a tutte le latitudini del nostro Paese. L’associazione mafiosa non è più un tabù a Roma e questo è forse il fatto più rilevante di tutta questa vicenda. Anni a negare, ridurre ai minimi termini segnali chiari di quello che stava crescendo in modo costante, sfacciato, probabilmente invisibile perché mischiato al malcostume strisciante che attanaglia Roma e l’Italia da decenni. Probabilmente invisibile perché non ha accenti con inflessioni siciliane o calabresi.
Dall’ordinanza di arresto, si evidenzia chiaramente, una foto nitida e tragica, non solo di una consorteria criminale, di una nuova holding che attraversava trasversalmente, o meglio ancora che annullava ogni appartenenza politica che esercitasse il potere sulla Capitale, in nome del “solito” facile arricchimento. Quello che emerge è il fermo immagine di una nuova forma di criminalità organizzata. Una fine distorsione di tutto quello che, ad oggi, si era classificato come modello mafioso.
Il Mondo di mezzo, definito da Massimo Carminati (almeno in questo troncone d’inchiesta), non è un’associazione mafiosa stragista o basata sull’uso “facile” delle armi, non è una mafia di colletti bianchi tout court, non è la mafia che fa politica nei centri di potere. E’ diverso. E’ un cuscinetto equidistante tra il mondo definito, erroneamente civile, e la criminalità di strada, la manovalanza. Non solo usa ma assorbe, non solo sfrutta ma vampirizza entrambi i livelli.
Da cuscinetto a perno centrale di questi due mondi. Mondi che lui frequenta con la stessa facilità. Dai politici locali, rigorosamente bipartisan, a’ “cani sciolti” della politica militante dell’estrema destra fino ad alcune frange del tifo giallorosso-biancazzurro. Non esistono derby (anche se lui è da sempre laziale), non esistono colori politici (anche se lui è e rimarrà per sempre legato ai suoi trascorsi nella destra più radicale). Esiste il fine, il guadagno e il potere sopra ogni cosa.
L’apertura di credito nei confronti della Procura Generale di Roma, oggi, è consistente. Questa tempesta giudiziaria apre nuove prospettive nella lotta al crimine della Capitale. Una tempesta annunciata, la più annunciata. Quando, anni fa, Lirio Abbate, dalle colonne dell’Espresso, iniziò a mettere nero su bianco il nome di Carminati al vertice della cupola criminale del crimine romano molti trasalirono. Molti, sottovoce, dissero che era una mossa avventata. Quasi un modo per avvertire “il re cecato” che era attenzionato. Non era ovviamente così. Anche se quell’articolo creò qualche scompenso, tanto che lo stesso Carminati smontò pezzo per pezzo la sua macchina alla ricerca delle temutissime “microspie”. Non era solo il Ros sulle tracce del boss di Corso Francia ma, da quel giorno, la caccia fu esclusiva degli uomini dell’Arma.
Una delle cose che non si riconosce dai fatti e dall’ordinanza è proprio il termine “Re di Roma”. Almeno fino ad oggi. Un termine che abbiamo usato ed abusato tutti ma che non trova molti riscontri nelle indagini emerse. Omicidi eccellenti, da Silvio Fanella a Flavio Simmi, sono avvenuti in quello che si può definire il regno di questo Re senza corona. Eppure non si leggono, al momento, riscontri effettivi che leghino uomini e fatti a Carminati. Neanche in ottica di assenso, di “permesso accordato” a compiere esecuzioni nel proprio territorio d’influenza. Una caratteristica fondamentale per la gestione di un territorio.
Carminati è un Re strano. Un Re legato al suo passato militante ed estremista ma che non muove un dito né prima né dopo la gambizzazione, nel 2012, di uno dei suoi”fratelli” dell’epoca: quel Francesco Bianco che insieme a lui era nelle file dei Nar. Un Re che gioca con il suo passato per comandare nel presente. A Roma, più che in altre parti, vale la storia criminale in bianco e nero di ieri più del colore di oggi. Carminati tutto questo lo sapeva e lo ha sempre usato come e più di una pistola fumante, in tutte le occasioni. Dai rapporti con i politici a quelli con gli imprenditori, dalle joint venture con altri gruppi criminali come i Senese o i Casamonica fino ai suoi “soldati di strada”.
Una storia criminale che ha passato molte volte indenne e che ha accresciuto storie mitologiche su di lui. Mito e realtà che si sono confusi, come i suoi presunti rapporti con i servizi segreti. Storia mai provata ma che deriva dalla logica. Se infatti un giocatore di rugby partecipa a tutte le mischie senza mai procurarsi un graffio, un motivo deve pur esserci. Quando il numero di casualità aumenta, forse, tanto caso non è.
Questa tempesta annunciata si sentiva nell’aria. E Carminati l’aspettava da tempo. Un tempo che ha trascorso cercando di pianificare la sua fuga verso Londra. Una casa a Notting Hill lo avrebbe aspettato, lontano dai rumori di manette di una Capitale che forse aveva già decretato la fine della sua carriera.