Mafia, commercianti e imprenditori si ribellano al racket imposto dal clan: 20 arresti a Palermo
Diciotto persone, tra commercianti e piccoli imprenditori del quartiere Borgo Vecchio di Palermo, hanno deciso dopo anni di silenzio di ribellarsi al racket e hanno denunciato gli estortori mafiosi: 20 tra boss, gregari ed esattori del clan sono stati fermati questa mattina dai carabinieri con le accuse – a vario titolo – di associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, ai furti e alla ricettazione, tentato omicidio aggravato, estorsioni e danneggiamenti. Più di venti le estorsioni accertate durante le indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia guidata dal Procuratore Francesco Lo Voi, 13 delle quali scoperte grazie alle denunce spontanee delle vittime. In cinque casi invece i commercianti hanno ammesso di pagare dopo essere stati convocati dagli inquirenti. L'inchiesta che ha portato ai fermi è la prosecuzione di indagini passate sul mandamento mafioso di Porta Nuova e, in particolare, sulla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio.
Il capo clan era un boss sorvegliato speciale
A guidare le operazioni della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio era il boss Angelo Monti: il boss era stato scarcerato tre anni fa dopo essere stato arrestato nel 2007 perché, anche all'epoca, ritenuto al vertice della famiglia. Dal 2017 era sorvegliato speciale e malgrado ciò continuava a dirigere l'attività criminale del clan in collaborazione con il fratello Girolamo e, anche lui arrestato nel 2007, e con Giuseppe Gambino, già condannato per mafia, che secondo gli inquirenti era il "tesoriere" della famiglia e faceva da tramite tra i vertici e il gruppo operativo. Gli "esattori" del pizzo erano Giovanni Zimmardi, Vincenzo Vullo e Filippo Leto. Dello spaccio di droga si occupavano, invece , Jari Massimiliano Ingarao, nipote del boss, e i sue due fratelli. Nelle intercettazioni, tra le altre cose c'è anche una frase inquietante proferita da uno degli arrestati. Un consiglio che un indagato avrebbe dato ad un altro soggetto per passare inosservato: "Fatti un tatuaggio e ti scrivi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e si risolvono i problemi".
Tra i reati contestati tentato omicidio, spaccio di droga e controllo delle feste religiose
Tra i reati contestati c'è anche un tentato omicidio commesso con un’arma da taglio il 12 dicembre 2018 da Marcello D’India e da Giovanni Bronzino, ai danni di Giovanni Zimmardi. L'affiliato alla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, il cui compito era quello di riscuotere il pizzo, era stato ferito all’interno della sua auto, poi data alle fiamme. Il movente? Zimmardi aveva accusato i suoi aggressori di avere pagato una cena in una trattoria del quartiere con soldi falsi scatenando la loro ira.
Nelle indagini è inoltre emerso che il clan controllava le feste religiose in alcuni quartieri di Palermo, ad esempio quelle della patrona del Borgo Vecchio, Madre Sant'Anna. Cosa Nostra deteneva il monopolio dell'organizzazione delle serate musicali animate dalle esibizioni di alcuni cantanti neomelodici. C'è poi il business del traffico di stupefacenti, che era stato affidato a Jari Ingarao, nipote del boss del quartiere. Malgrado fosse ai domiciliari, l'uomo dalla sua abitazione organizzava e coordinava tutte le attività legate al commercio di droga, riuscendo rifornendosi principalmente in Campania per poi farla confluire nelle varie piazze di spaccio del quartiere. Ingarao si faceva aiutare dai fratelli Gabriele e Danilo che a loro volta avevano organizzato una squadra di spacciatori. Tutti sono stati arrestati con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga nel blitz di oggi.
Il clan regolava anche gli scontri tra gli ultras del Palermo
Tra le attività del clan anche quella di mantenere i rapporti con le tifoserie palermitane: "Non è emerso, però, – precisano gli inquirenti – alcun coinvolgimento della società che gestisce la squadra". I vertici della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, secondo quanto emerso, volevano controllare i contrasti fra gruppi ultras per evitare scontri all’interno dello stadio, da un lato dannosi per lo svolgimento delle gare e dall’altro fonte di possibili difficoltà per uno storico capo ultrà rosanero, elemento di raccordo tra la cosca e il mondo del tifo organizzato cittadino.