L’umanità di Lorena Fornasir: da 5 anni cura i piedi torturati dei migranti alla stazione di Trieste
Lorena Fornasir ha 67 anni. Da oltre cinque, assieme al marito Gian Andrea, ha deciso di aiutare ogni giorno i profughi della rotta balcanica che arrivano a Trieste, cercando fortuna nei vari Paesi europei e in Italia. Lorena li assiste nella piazza davanti alla stazione dei treni di Trieste. Un luogo di arrivi e partenze. A volte le persone da aiutare, che arrivano principalmente da Afghanistan e Medio Oriente, sono anche più di 100.
"Con la piccola associazione che abbiamo fondato, Linea d'Ombra, riusciamo a fornire cure mediche ai ragazzi, a comprare del cibo per la sera", spiega Lorena Fornasir a Fanpage.it. "In questi cinque anni abbiamo imparato a curare queste persone, non solamente sotto l'aspetto sanitario, ma anche incamminandoli verso una elaborazione dei traumi subìti lungo la rotta balacanica. Un trauma è difficilissimo da elaborare. Noi cerchiamo di alleggerirli da terribili pene come le torture subìte dalle varie polizie di frontiera, un amico morto durante il cammino".
La piazza è un pullulare di migranti di passaggio. Ma ci sono anche dei medici volontari, un podologo arrivato da Roma, un gruppo scout da Rimini che per qualche giorno ha aiutato Lorena a gestire la piazza multietnica dell'emergenza.
Chiediamo a un medico, giovane volontaria, quanti piedi riesce a curare in un giorno. Si chiama Chiara. "Difficile a dirsi, sicuramente in due o tre ore riesco a curare una trentina di persone. Sono qui per dare una mano, avevo una settimana di ferie e mi sono sentita in dovere di soccorrere queste persone. I medici fanno questo".
Curare i piedi durante tutto l'arco del pomeriggio, ascoltare storie, dare risposte alla disperazione, fornire un pasto a fine giornata. Queste sono le attività che Lorena Fornasir e la sua Associazione Linea d'Ombra cercano di portare avanti per aiutare questi ragazzi.
Verso le 18:00, Lorena Fornasir tira fuori un lenzuolo da uno zaino, "è il lenzuolo della memoria", spiega, "dove ogni sera ricamo a mano i nomi dei migranti che sono morti durante la fuga dai loro Paesi. Sono gli stessi ragazzi profughi che scrivono i nomi dei loro compagni morti, qualcuno di loro mi aiuta anche a ricamarlo. Si avvicinano per scrivere questi nomi, per condividere le loro storie e cercare di elaborare i lutti che portano con sé”.