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Lucca, uccide il caporeparto per nulla: “La vittima voleva dargli promozione”

Massimo Donatini ha detto di aver ucciso il suo caporeparto perché convinto che volesse licenziarlo. Proprio lo stesso giorno dell’omicidio. In realtà l’assassino reo-confesso doveva semplicemente tenere un corso di aggiornamento professionale, che avrebbe poi dovuto condurlo ad una promozione.
A cura di B. C.
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Un corso di aggiornamento professionale scambiato per il preludio ad un licenziamento. Questo timore era diventato una vera e propria ossessione per Massimo Donatini, il 43enne anni di Camigliano, in stato di fermo con l'accusa di omicidio di Francesco Sodini, 52 anni, il suo capo-reparto in una cartiera a Porcari, in provincia di Lucca. Eppure nessuno aveva mai preso l’ipotesi di allontanarlo. “Quel corso serviva in vista di una futura promozione”, si legge su Leggo. Ma la preoccupazione di perdere il lavoro avrebbe fatto esplodere i nervi di Donatini, spingendolo ad uccidere il suo superiore. Poi l’uomo si è costituito alle forze dell’ordine e a loro ha consegnato la pistola, il cui caricatore ha interamente scaricato sul corpo della vittima. Tuttavia gli inquirenti non sono pienamente convinti della confessione dell’uomo. Come riporta il Tirreno, il suo racconto cozza con i riscontri raccolti finora, segnatamente con quanto hanno riferito i colleghi di Sodini e Donatini: “Non risultano screzi tra i due. Mai una parola di troppo. Anzi, Sodini si fidava ciecamente del collega, molto bravo, esperto e volenteroso al quale affidava volentieri gli incarichi più importanti. Era insomma il suo braccio destro alla Lucart, una persona verso la quale provava stima e della quale si fidava ciecamente”.

 Colleghi e sindacati increduli

Francesco Sodini lavorava alla Lucart da oltre 30 anni, durante i quali, “si era sempre distinto per dedizione, competenza, correttezza e serietà”, dice l'amministratore delegato del gruppo cartario Massimo Pasquini. “Siamo tutti sconvolti per l'assurdità di quello che è accaduto ed increduli per le persone che ne sono state coinvolte – afferma in una nota diffusa alcune ore dopo l'omicidio -. Mai, in nessun modo, erano emersi in azienda elementi che potessero far presumere un'esplosione di violenza da parte di un operaio modello, anche lui nostro collaboratore da oltre 25 anni. Nessuna ipotesi di riduzione di personale lo aveva visto coinvolto né lo avrebbe coinvolto in futuro”. A fare eco a Pasquini sono i rappresentanti sindacali e chi ha lavorato insieme all'operaio e al caporeparto. “È un fatto inspiegabile”, afferma Federico Fontanini, della Cisl, che aggiunge: “I compagni di lavoro non sono a conoscenza di eventuali screzi e non sanno darsi una spiegazione, parlano di due persone normali”.

"Sodini ce l'aveva con me, mi ostacolava la carriera"

E’ La Stampa a pubblicare uno stralcio della confessione di Donatini: “Sodini ce l’aveva con me. Mi ostacolava la carriera. Mi teneva sotto controllo con le telecamere aziendali. Mostrava dei video ai colleghi e mi deridevano. Era un comportamento inaccettabile per il mio onore. Perché io sono una persona precisa, merito fiducia, non ho mai avuto neanche un richiamo in venticinque anni di lavoro…”. A parlare è anche la mamma di Donatini, che, disperata, dice: “Chissà quale vuoto, chissà quale assurdità gli deve essere passata nella testa… Io e mio marito conoscevamo bene Francesco Sodini. Era davvero una brava persona”.

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