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Luca Favarin non è più prete: “Sono stato diffamato, ma sono libero. Non escludo di avere un figlio”

Dopo la sospensione a divinis da parte della Diocesi di Padova alcuni mesi fa, arriva l’atto ufficiale del Vaticano che chiude definitivamente la storia religiosa di Favarin. Lui assicura che continuerà ad occuparsi degli “ultimi”, la cooperativa, i migranti, i carcerati: “Ora inizia la mia seconda meravigliosa vita totalmente diversa, radicalmente uguale”
A cura di Biagio Chiariello
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"Ora sono libero, non ho più vincoli e ho liberato anche la Chiesa di un peso, di un disagio. Ne avevo bisogno. Non ne potevo più di sentire mugugni attorno a me. Andrò comunque a messa, se vorrò potrò insegnare religione nelle scuole e non escludo di avere un figlio".

Don Luca Favarin non è più prete. Sospeso a divinis da parte della Diocesi ormai parecchi mesi fa, arriva ora anche l'atto ufficiale direttamente dal Vaticano, con la dispensa papale è terminata la discussa vicenda del prete padovano Luca Favarin.

Sui social scrive "Non ho nulla di cui vergognarmi". E ancora, evidenzia: "tutto questo in Italia si chiamerebbe mobbing e diffamazione".

La sua decisione di lasciare la chiesa era arrivata lo scorso dicembre. Due i motivi che lo spingono a quella decisione: è favorevole sia alle unioni tra persone omosessuali sia ad una legge per il fine vita. Viene così sospeso a divinis, il che significa non poter dare la comunione, confessare e dire messa. Ma non sono solamente le sue posizioni a non essere viste di buon occhio dal clero.

In particolare è l’attività ormai ventennale di accoglienza, inserimento sociale e lavorativo di migranti condotta da Favarin attraverso una rete comprensiva del "Villaggio Kidane", di un campus per minori, della cicchetteria "Versi ribelli", della Caffetteria al Museo Eremitani e del Ristorante etico "Strada Facendo" a non essere "pensata, condivisa né maturata insieme alla Chiesa di Padova". E ancora: "La scelta di Luca Favarin si è, invece, indirizzata diversamente, in forma autonoma e personale, sfociando in attività imprenditoriali su cui più volte la Diocesi ha chiesto informazioni, condivisione e trasparenza".

"Ancora per un pochino ogni volta che guarderò una chiesa mi ricorderò di ciò che mi è stato detto: ‘Quello che tu fai non c'entra niente con noi non c'entra niente con la chiesa'. Così saprò ogni volta da che parte girarmi, dove sta la gente. Ma poi anche questo passerà perché non voglio aver tempo se non per il futuro. E così me ne vado perché quello che faccio è solo quello che io ho capito del vangelo e della vita. Sbaglio? Pazienza.. perseverò nella mia strada ostinato", dice sottolineando che questa vicenda non ha messo alla prova la sua fede, quella rimane intatta.

Il problema semmai è con gli uomini, non con Dio.

In coscienza non voglio avere nulla a che fare con chi, senza essere mai venuto a conoscere e capire, giudica le cose che facciamo come attività imprenditoriali. Questo per rispetto delle centinaia e centinaia di notti passate per strada ad incontrare disgraziati e sfruttati. E anche io ‘ho scelto di guardare più avanti di ciò che vedo. Il mio passato non me lo scordo, non lo rinnego. Colpisci forte, tanto non cado, rimango in piedi…' E inizia la mia seconda meravigliosa vita totalmente diversa, radicalmente uguale"

Poi, riferendosi alla sua attività con i rifugiati e alla sua ‘nuova'  vita, chiosa così: "Magari poi chissà un giorno avrò pure voglia di un figlio accanto ai tanti arrivati dal mare.Che straordinaria che è la vita, sempre nuova e affascinante".

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