Lorenzo ucciso dal tumore a 5 anni, la famiglia chiede 25 milioni di euro all’Ex Ilva
I familiari del piccolo Lorenzo Zaratta, morto il 30 luglio 2014 per un tumore al cervello a soli 5 anni, hanno presentato una richiesta di risarcimento pari a 25 milioni di euro nei confronti di 9 dirigenti dell’ex Ilva di Taranto. L’accusa per tutti è di omicidio colposo. Il piccolo non era non riuscito a sopravvivere alla malattia – scoperta quando aveva solo tre mesi di vita – che lo portò via all’età di appena 5 anni. Stando ad una perizia fatta propria dai pubblici ministeri della procura di Taranto a provocare il tumore furono le polveri e le altre emissioni inquinanti dell’acciaieria.
Le accuse ai dirigenti dell'Ilva
Sono stati gli avvocati Leonardo La Porta e Ladislao Massari, per conto dei genitori e del fratellino, a depositare la richiesta nella prima udienza preliminare dinanzi al gup Rita Romano che ha fissato per il 14 ottobre la prossima udienza. Entro quella data le difese dovranno presentare richieste di riti alternativi mentre la procura dovrà precisare nei capi di imputazione le norme violate dagli imputati che avrebbero causato la malattia e poi il decesso di Lorenzo.
Lorenzo "morto per il veleno respirato"
Secondo i pubblici ministeri Remo Epifani e Mariano Buccoliero, i dirigenti dell'ex Ilva ”consentivano la dispersione di polveri e sostanze nocive provenienti dalle lavorazioni delle Aree: Parchi Minerali, Cokerie, Agglomerato, Acciaierie e Gestione Rottami Ferrosi dello stabilimento siderurgico, omettendo l’adozione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali” e questo avrebbe causato “una grave malattia neurologica al piccolo Lorenzo Zaratta che assumeva le sostanze velenose durante il periodo in cui era allo stato fetale” che avrebbe così sviluppato una “malattia neoplastica che lo conduceva a morte”.
Nel cervello del bimbo zinco silicio e alluminio
Secondo le carte dell’inchiesta, il piccolo si sarebbe ammalato per aver assunto, quando era ancora allo stato fetale, sostanze velenose a lui trasmesse dalla madre, che all’epoca lavorava al rione Tamburi. L’indagine ha accertato la presenza di ferro, acciaio, zinco e persino silicio e alluminio nel cervello di Lorenzo.